Velly   Conversazione con M. Random, 1983
 
 

Questa conversazione è stata registrata il 7 maggio 1983 (la cassetta audio comporta un’ etichetta manoscritta); ha luogo a casa di Michel Random al 26, rue Lemercier, durante una cena. Jean-Pierre Velly risponde alle domande di Michel Random. Abbiamo talvolta ristretto le domande di Michel Random, e eliminato dei suoi commenti quando ci sono apparsi come fuori luogo. Le parole stressate da parte di J.P.V. appaiono in grassetto ; abbiamo provato a ricreare una punteggiatura che rispettasse il linguaggio parlato e il ritmo usato dai due protagonisti. (Trascrizione, adattamento Pierre Higonnet, giugno 2006)





M.R. Quando uno parla della perdita dell’identità… vorrei veramente che si facesse un discorso a riguardo. Perché questo è davvero una storia … classica.


J.P.V.        Devo andare via però.


M.R.        No !… Devi partire fra quanto tempo?


J.P.V.        Devo prima passare dalla Broutta


M.R.        Ma non è tardi!


J.P.V.        Che ore sono?


Una voce femminile risponde: « Sono le tre meno venti cinque».


M.R.        Hai un quarto d’ora?


J.P.V.        Sì, un quarto d’ora…Troverò un taxi, vero ? Ho ancora le mie valigie da fare…e ho il treno, dopo, alle sei e mezza …


M.R.        Va bene, va bene…Quando parli della perdita dell’identità, a partire di un teschio o… di una donna nuda …Che vuoi dire?


J.P.V.        Voglio dire che tutto si riallaccia, no ? Che, un teschio, tieni, questo cubetto di zucchero lì, o… Voglio dire che uno può vedere attraverso l’elemento il più banale in apparenza, il più banale a secondo delle nostre vecchie tradizioni, che uno può vedere il mondo ! Cioè, una foglia morta, non lo so, una bottiglia, una scodella, non lo so, qualsiasi cosa…un fiammifero! Sono esattamente la stessa cosa!


M.R,         Forse bisogna precisare che la realtà è una, e che prende innumerevoli apparenze.


J.P.V.        Ecco! Ha aspetti multipli, così …per chi non sa vedere …


M.R.         Questo è la visione.


J.P.V.        Allora, io credo che è una cosa straordinaria, una fortuna straordinaria il fatto, se vuoi, di avere tutto il suo tempo, dalla mattina alla sera, a pensare a queste cose! Perché, vedi, normalmente, hai questi tizi nella metropolitana… Ebbene! Non è colpa mia, non hanno il tempo, sono incastrati, no ? Ma, no so come potresti chiamarla, se è uno stato meditativo - permanente, non so come affatto come si potrebbe chiamare…

C’era… c’è il prete di Formello, un giorno mi dice – sono molto amico suo anche se non vado a messa – mi dice: « Jean-Pierre, preghi qualche volta? » Allora ho risposto : « Padre, ogni passo che faccio è una preghiera », e mi ha detto « questo è molto bello »… e non è affatto un tizio, vedi… è piuttosto uno politico, no? Bene… Ma credo che sia  questo, credo che ogni gesto deve essere fatto con una certa armonia, voglio dire, parlo di armonia per me stesso, è ovvio, una sorte di equilibrio instabile che riesci a recuperare. Dunque, è la stessa cosa. Allora perché questa sorte di scarnificazione del soggetto che devi dipingere o che devi disegnare? Ebbene, è perché se perdi veramente l’identità del soggetto che devi fare, allora tu arrivi alla realtà, alla vera realtà. E non alle apparenze.


Michel Random acconsente.


J.P.V.    È semplice, ma non è ovvio, voglio dire, non è ovvio per niente. E allora, in fine, sono contento quando riesco…allora, vorrei metterci il 100 percento … di tutto che ho nella testa. Se riesco a metterci il 5 o 10 percento, allora non distruggo. Perché, mi dico, ecco, questo è sempre (parola incomprensibile)


M.R.    Aspetta, qui, non ho capito.


J.P.V.    …Se provo… cioè, voglio fare una cosa, allora in testa, ho il 100 percento. Ma, come abbiamo dei difetti, come io ho dei difetti degli umani, cioè l’occhio, la materia, la mano, tutto ciò, bene … la carta, e poi, talvolta la pittura ad olio sgocciola, talvolta l’acrilico si essicca troppo veloce, e poi talvolta, l’acquerello, c’è troppa acqua, bene dunque, se riesco a fissare il 10 percento di cosa ho visto,  o anche il 5 percento, allora tengo la cosa che ho fatto.


Random si lagna del rumore prodotto da sua moglie in cucina. “Fai del caffè senza rumore” dice M.R.  … “e senza zucchero ! » (J.P.V.) 


J.P.V.    Ma guarda, fa parte della vita! Quando saremo nelle nostre silenti tombe, al freddo…


M.R.    Figurati ! non ci saremo mai nelle tombe silenti e fredde, coglione!


Interruzione della cassetta.


M.R.    Quando dipingi la luce nera, quando fai un lavoro sulla luce nera…


J.P.V.    Allora, vedi, è molto curioso, perché, quando cominciai a lavorare con, giustamente, questa sorte di luce nera, così … Alcuni mesi dopo ho letto che alcuni scienziati, senza dubbio pazzi (agli occhi degli altri), avevano trovato nell’universo una luce fossile…che sarebbe una luce dunque … della prima esplosione… hanno trovato dei residui. Allora, come ? Non me lo ricordo questo … È molto curioso questo che… questa luce fossile, io credo che la portiamo tutti dentro di noi. Voglio dire la luce mentale, cioè la luce delle origini… Ah, è difficile da spiegare perché, se sapessi dirlo con le parole, non farei il pittore !…


Michel Random parla del Big Bang.


J.P.V.    Ed è curioso che si è trovato della luce fossile, mazza!…Non è ovvio, non è ovvio per niente … per noi altri… non è ovvio per niente…

E difatti, c’è quella famosa frase: « Che la luce sia…e la luce fu »… Non c’è male, vero?! È impressionante ! Quando uno lo dice con intensità, pensandoci bene, è assai impressionante…« Che la luce sia…e la luce fu »…Porca miseria ! (ride) Sul serio, è vero! Se uno lo legge in una maniera banale … che la luce sia e la luce fu… Abbiamo delle abitudini di vecchi stronzi: si preme sul pulsante, e ecco la luce. Bene, ma non è questo! È tutto un’altra cosa …È l’energia, è la vita…È molto impressionante…


M.R.     Nelle tue cose c’è la visione dell’uomo sdraiato; ogni parte del suo essere si raccorda a un punto dell’universo.


J.P.V.    È come un bozzolo, la barra, è come un bozzolo… o una crisalide, no ? È…forse la seconda nascita…


M.R.    È l’immagine della struttura assoluta.


J.P.V.    Sì, ma in ogni caso, si parla di microcosmo e di macrocosmo, ma per poter capirci. Ma io credo che sono esattamente la stessa cosa. Cioè che sia un problema che non esiste. Bisogna parlare con delle parole, ma sono la stessa cosa, non ti pare ?


M.R.    Sì…qual’è la differenza?


J.P.V.    Non c’è! Tra ‘infinitamente piccolo et l ‘infinitamente grande, non c’è. Si calcola con le ore, con chilometri, con gli anni-luce …Io non ne vedo personalmente. Sono delle scale di misura e, ancora una volta, delle parole con quali si esprime per provare a definire al meglio quello che abbiamo voglia di dire… Che vuol dire “millimetri” , “anni-luce” ? Non ha importanza, no?


M.R.     Hai notato una grande evoluzione nel tuo lavoro dall’età di 22 o 24 anni ?


J.P.V.    Altroché, sì, sì! Ascolta, quando ero molto giovane, quando avevo quindici anni, dicevo a me stesso: «Ma, ascolta, Jean-Pierre, bisognerebbe magari… » ed era un’offesa a i miei genitori e alla vita stessa…dicevo: « bisognerebbe che morissi meno stronzo … che quando sei nato! » Mi sono reso conto dopo  che era un’offesa. Perché? Perché io ormai dico: « Bisognerebbe morire innocente … come alla nascita».


M.R.     Dio ti benedica di aver detto queste parole.


J.P.V.    A me, mi pare ovvio, e non è facile spiegarlo agli altri, perché … uno mira il suo conto in banca…


Interruzione della cassetta.



M.R.    …C’era il tempo dell’apprendistato…un secondo tempo, nell’azione …un terzo tempo dove l’azione è abbandonata e la meditazione si sovrappone.



J.P.V.    Come un poeta può esprimersi se non conosce l’alfabeto ? In seguito, se non conosce la grammatica? Poi, bene, tutto il resto. Tutto ciò, si chiama tecnica. E è il sopporto, diciamo, del tuo corpo. Allora cerchi il sopporto…dello spirito che hai in te e che devi materializzare, concretizzare. Dunque la tecnica, diciamo, negli arti plastiche, o negli altri arti, bene, sono la stessa cosa. Devi prima imparare che un giallo e un blu da del verde… ecc., ecc. … Ed è molto, molto lungo. Non dimentichiamo che, nello stesso modo, che nostro corpo è solo un sopporto, che la tecnica è solo un sopporto… Un altro sopporto, che concretizzi con l’occhio, la mano e il cervello. Tutto questo apprendistato tecnico non è mai uno scopo in se stesso, cosa che molti artisti talvolta credono. Magari… Io, ho sentito delle riflessioni, per esempio, tipo: « Non avete oltrepassato lo stadio tecnico! » Rispondo: « Ma, ascoltate, siete voi che non l’avete ancora digerito! ».  Perché c’è sempre questa sorte di squilibrio, diciamo, no?


M.R.    Delle persone che ti dicono che non hai superato lo stadio tecnico?


J.P.V.    Sì! La gente rimane meravigliato da una certa tecnica apparente, invece che, Michel, ti assicuro che, quando dipingo o quando incido, non ho assolutamente nessun problema tecnico. Non ci penso neanche. È curioso questo, no? È normale, ti succede dopo venti anni… Se voglio un grigio così, non è che mi dico: « Come lo faccio? Lo faccio all’acquatinta ? O lo faccio all’acquaforte? o… » No ! pof, succede così! Cioè che la mano va subito allo strumento preciso, senza pensarci due volte. È molto semplice. E dunque, è perché ti accennavo del 5 o 10 percento di quello che vedo. Dunque, bene, se non c’è, se vedo il vuoto, allora butto via. Giuliano mi sgrida, ogni tanto, o altri… « Non dovevi buttare via questo! » Eh ! Sono io il mio padrone, vecchio mio, che lusso!…e che fortuna!


Michel Random parla della distruzione dei disegni preparatori della Cappella Sistina di Michelangelo.


J.P.V.    Ma, ascolta, trovo schifoso, se vuoi, cioè credo … adesso non vorrei essere pretenzioso… credo che … Diciamo, quello che chiamiamo « artista » ha una sorte di compito sacro : deve assolutamente…ha diritto di fare tutte le cagate del mondo nel suo studio… Ma non ha il diritto di lasciar uscire dallo studio una cosa che non ama! Dunque, nel 98 percento dei casi, che succede? Uno dice: « Ma chi se ne frega, si venderà». E il conto in banca …come direbbe Le Maréchal…con la sua bilancia, qui…il cuore e il dollaro, no ? Ma a me, sembra una cosa ovvia.



 

Conversazione con Michel Random II

previous                                      next