Velly     Mario Praz (1980)
 
Mario Praz Mario Praz (Roma, 6 settembre 1896 - Roma, 23 marzo 1982), è stato critico d'arte e di letteratura, ma anche traduttore e giornalista. I suoi studi sono incentrati in particolare sull'Inghilterra fra il seicento e l'epoca vittoriana, ma si è occupato anche di letteratura italiana, francese, spagnola, tedesca, russa.

Laureato in Giurisprudenza con una tesi di diritto internazionale sulla Società delle Nazioni nel 1918, scelse di dedicarsi alla letteratura laureandosi due anni dopo, nel 1920, in Lettere presso l'Università di Firenze. Trasferitosi in Inghilterra grazie ad una borsa di studio nel 1923, venne incaricato alla fine dello stesso anno di curare presso l'Università di Liverpool l'insegnamento della letteratura italiana, compito che lo impegnerà fino al 1931. Traferitosi ad insegnare all'Università di Manchester nel 1932, viene contemporaneamente incaricato dell'insegnamento di letteratura inglese all'Università degli studi di Roma "La Sapienza", prima cattedra istituita in Italia sull'argomento, poi ereditata da Elémire Zolla. Sposato con Vivyan Eyles (da cui si separerà nel 1943), rientrato a Roma nel 1934, conserverà fino al 1966 l'incarico presso l'Università.

Fu fra i collaboratori della rivista Primato fondata nel 1940 da Giuseppe Bottai. Giurato alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 1960. Membro dell' Accademia dei Lincei e di alcune accademie straniere, nel 1962 ha ricevuto dalla regina Elisabetta II il titolo di Knight Commander of the British Empire.

Grazie alla sua attività di collezionista ed esperto di antiquariato, dal 1995 a Roma ha aperto al pubblico il Museo Mario Praz, casa museo dove sono esposti oltre 1200 oggetti di arredo provenienti da Francia, Italia, Germania e Inghilterra, e che coprono il periodo che va dal Neoclassico al Biedermeier. (Fonte: wikipedia)

L'opera grafica di Jean-Pierre Velly (1980)


A quanti, dopo un primo moto di ammirazione e di stupore dinanzi all'indiscutibile maestria del bulino di Jean-Pierre Velly - e son sicuro che questa è la prima reazione non di pochi, ma di tutti - sentissero un dubbio generato dal sospetto del déjà vu, si potrebbe rispondere : d'accordo qualcosa di simile avete visto in Schongauer e Dürer, ma è proprio questo il caso di parlare di fenomeno culturale della stessa natura del primitivismo e del preraffaelismo?

Gli stili, queste impronte dell'uomo sul tempo, son duri a morire, hanno una demonica vitalità, e di tanto in tanto nasce una generazione di « cercatori d'orme » che risalgono il cammino che conduce alla caverna magica dei sogni.


Il sogno medievale, le Moyen Age Fantastique, su cui scrisse vent'anni fa un libro memorabile Jurgis Baltrusaitis , vive ancora tra noi, perché risponde a eterni archetipi, come intuì già al principio dell'Ottocento Charles Lamb quando nel suo saggio sulle « Streghe ed altri terrori notturni » scrisse : « Gorgoni, e idre, e chimere - truci storie di Celeno e delle Arpie - si possono riprodurre nel cervello della superstizione, ma c'erano già fin da prima. Esse sono trascrizioni, tipi gli archetipi sono in noi, ed eterni » . Già Goethe, nella notte di Valpurga classica, aveva sollevato il velo su un mondo classico popolato di paurosi mostri, grifi, pigmei, sfingi, lamie, empuse, forcidi; questa classicità mostruosa era riaffiorata nelle gemme intagliate dell'età carolingia, con figure grottesche, grappoli di teste, animali e uomini a facce multiple, esseri formati di sola testa e gambe, quadrupedi incapsulati in una conchiglia, quelle figure teratologiche insomma che secondo un testo di Plinio il Vecchio, fonte di una « innaturale » storia naturale, furono chiamate grylli. Una rinnovata diffusione in Occidente dei tesori della glittica segui al sacco di Costantinopoli nel 1204 : di qui presero origine i cimieri zoomorfici ispirati ai grotteschi delle gemme, e le forme stravaganti che assunsero i mostri di Hieronymus Bosch che trasse motivi dalle antiche monete, dai cilindri assiri e dagl'intagli ellenistici : in questi antichi sigilli troviamo la nave a forma di cicogna e quella a forma di pesce della Tentazione di Lisbona.



A questo modo le civiltà arcaiche e classiche contribuirono, soprattutto attraverso la gran diffusione dei talismani con le loro immagini singolari e grottesche, ad alimentare il gusto del bizzarro e del fantastico. I contatti con l'Oriente tennero vivo questo fuoco folletto della fantasia che era il bizzarro. Dalla Cina vennero i demoni dal pendulo seno femminile, dalla testa d'uccello rapace, i demoni arborescenti che troveremo in Bosch; attraverso l'esempio cinese rinacquero in forme demoniache certi mostri dell'antichità, come i geni stetocefali, cioè dal petto in forma di volto, e il gorgoneo; e le armature, sul modello delle corazze degli Yama e dei Lokapala dei secoli ottavo e nono, ebbero mascheroni sulle spalle, sui ginocchi e sui gomiti feroci mascelle in tutte le articolazioni e l'inferno gotico si popolò di mostri orientali grazie ai missionari francescani che li colportarono - tipici i diavoli dalle ali di pipistrello ; attraverso la leggenda di Barlaam e Joasaf si diffuse la meditazione di Bodhisattva sul cadavere, che si leggeva nel sanscrito Lalita-Vistara, e di lì venne la figurazione dei vari stadi di corrompimento del cadavere che ritroviamo negli affreschi del Camposanto di Pisa e in molte tombe francesi del tardo Medioevo.


Che questo Medioevo fantastico e allucinatorio non fosse mai morto nella tradizione europea ce lo rende palese il ripullulare del bizzarro perfino in quel Rinascimento che una persistente tradizione ha voluto pervaso tutto da serenità e armonia. Ne è prova la sua accessibilità a influssi gotici quali emanavano ad esempio attraverso le stampe del Dürer, a cui s'ispirarono il Pontormo, Lorenzo Lotto, e perfino il Tiziano e la voga che ottennero immediatamente le grottesche della riscoperta Domus Aurea, la cui famiglia di creaturine mostruose, generate dallo stesso tronco che aveva prodotto le figurazioni cervellotiche della glittica, venne addomesticata e ridotta a sistema armonioso addirittura secondo lo spirito sereno e musicale di Raffaello, che si sarebbe detto a priori l'opposto di quel mondo fantomatico. Da quelle grotte, come si chiamarono le rovine del palazzo di Nerone, riemerse alla luce un misterioso popolo sotterraneo di larve esse rivestirono un'affascinante assisa rinascimentale, che anziché accentuare il loro carattere allucinatorio, lo stemperò in composizioni ritmate a decorazione delle pareti e delle paraste ; il loro folleggiare fu ridotto a metodo e conservò solo qualche barlume della origine onirica in un artista più aperto alle suggestioni nordiche che non lo fossero i suoi contemporanei italiani (ma si pensi però ai capricci di Leonardo, alle fantasie di Piero di Cosimo, e soprattutto a Michelangelo pel suo progetto del campanile di San Lorenzo a forma di gigante il cui capo doveva ospitare le campane «e usciendo el suono per bocca parrebbe che detto colosso gridassi misericordia ») voglio dire Filippino Lippi, propenso, all'insolito e al mostruoso e agli accostamenti del regno vegetale al regno animale.


Temperamenti inquieti come il suo furono quelli dei manieristi, la cui rivalutazione nell'età moderna denota una confessata affinità per quell'ansia esistenziale che allora andava sotto il nome di melanconia. Non è difficile scorgere in Max Ernst il più dotato continuatore moderno di questa tradizione gotica.



Il quadro culturale che abbiamo così per sommi capi tracciato è una non superflua premessa all'apprezzamento del mondo che il bulino di Velly maliosamente ci presenta. Anche in lui è quel gusto pel folto, pel farraginoso, pel mostruoso che appartiene al clima gotico.



Una delle sue incisioni (21)



Grand Paysage des Gorges II





rappresenta un caos di rocce a cui sono abbarbicati alberi dai rami adunchi e spogli, e di nuvole a cirri compatti come una spaventosa ebollizione, e fra le rocce danzano a fan carole piccole creature umane ignude, e tra i cirri s'intravedono mani non certo benedicenti.


Una simile scena (26),



Paysage Rocheux





anch'essa con un gruppo di gnomi che s'appoggiano a funghi giganti e un proliferare di nubi convolute come chiocciole quasi a imitazione dei ciottoli che insieme ai frammenti di marmi policromi e ai fiori di smalto formavano le pareti e le volte dei ninfei dei giardini del manierismo.




In 29


Arbre et Sphère I



questo paesaggio apocalittico su cui è calata la tenebra è squarciato da una sfera di luce in cui si libra un satellite a forma di bomba come piovuto dal mondo di Hieronymus Bosch.

E il Bosch non avrebbe ripudiato un altra fantasia (31)


Tête flottante



dove un congegno estremamente macchinoso tende un'antenna in direzione di una testa veduta di profilo, quasi ridotta a teschio ma con ran crini in cima alla fronte e stracci a mo' di favoriti lungo gli zigomi, campita in un vuoto sfondo che termina in basso in una terra da cui germoglia un'erborescenza fantastica non meno di quelle fatte di chele di crostacei che compaiono nel Trittico delle Delizie del Bosch, ma congiunta con la mano deforme di un braccio che si perde nel vuoto.


L'interpenetrazione e contaminazione dei monti della vegetazione, delle nubi e dei visi umani subsannanti ricorre in 38,

Mascarade pour un rire jaune


47,


Petit portrait de Rosa


mentre in 50


Tas d’Ordures


un vasto altopiano ingombro di rottami a mo' di terreno alluvionato forma come un trait-d'union tra una visione di Bosch e un cimitero di automobili.

In 52


Senza Rumore II



la sagoma d'una automobile si precisa nel groviglio, ma in primo piano una fila di teste umane tumefatte dagli occhi vuoti come quelli delle statue fa pensare alle teste degli eroi nazionali scolpite in una montagna degli Stati Uniti.



Simili paesaggi fan da sfondo talora a una creatura femminile che in primo piano si esibisce in pose che ricordano i pittori e gl'incisori cinquecenteschi di nudi.


In 30


la Clef des Songes


siede tra un universo di rottami e scorie un nudo femminile dal volto chiuso nella sua tristezza: una mano s'appoggia rilassata su un asse incurvata dall'umidità, l'altra è stancamente agganciata a una sporgenza di questo imporrito sedile ligneo, e tutta la figura spira l'abbandono di ogni speranza, ben più triste della meditazione della Melanconia del Dürer. Quest'allegoria femminile tra il crollo di un mondo di macchine e ordigni vuol essere uno specchio presentato ai nostri scriteriati contemporanei? A parte il possibile messaggio quest'incisione, nel contrasto dei chiari e degli scuri, s'impone soprattutto per la sua bellezza formale.

Ma impietoso non meno di Max Ernst, Velly sventra non solo le macchine, ma le creature umane.


Due nudi femminili, uno in luce (35), l'altro in ombra (36)


Maternité I

                                                 

Maternité II


hanno l'addome squarciato, e ne emerge una forma sferoidale, non certo l'uovo di Leda contenente Castore e Polluce, forse il vaso di Pandora, o piuttosto una valva o tumore gigante.



Alle forme mostruose e attorte delle conchiglie fan riscontro quelle altrettanto tormentate degli uomini, nani, rachitici e idrocefali (7, 8, 9, 10, 11, 25)

Bébé vieillard

                                

Grotesques



in scorci da far invidia a quelli di Pellegrino Tibaldi e di Spranger

24,



Chute



27,


Vieille femme


40,

volti che sono arcimboldescamente composti di rottami


Valse lente pour l’Anaon


32


le bas de l’échelle


corpi stravolti in cui s'inseriscono pezzi di muratura, forme leggiadre massacrate da un crollo, col ventre e lo stomaco aperti, e il volto imbavagliato da un reticolo (41) ,


Maternité au chat


o addirittura appena reperibili in un miscuglio di tubi di lamine metalliche simili a trachee, o lasciate per poco intatte



Trinità dei Monti


(43) tra un paesaggio noto (“Trinità dei Monti”), anch'esso invertito, e con sepolto l'obelisco dalla cima appena affiorante da una botola; e infine paesaggi alluvionati dove una tromba d'aria ha scaricato una moltitudine d'oggetti (50)



Senza Rumore II



che talora (52) s'inalberano in colonna dal ventre d'un nudo femminile


Métamorphose I  II   et III

Métamorphose IV



(60, 61, 62) come travolti da un simùn; finché tutto, terra e cielo, si confonde e appiattisce in un caos fermentante di moltitudini umane (64) o vegetali (66)




Paysage Plante


o commiste di oggetti (68) come, un repositorio della spazzatura di un mondo. La contaminazione è affascinante come un sortilegio, e stranamente, come nell'Arcimboldi, si compone in un inusitata bellezza.




Questa Historia de la infamia è un inno a Satana, al dio che distrugge e discrea per ricreare nuove vittime alla sua insaziabile voracità: è la Natura secondo il verbo di Sade.



 

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