Velly    les Temples de la nuit   (n°89)
 
 

Titre                                     Les Temples de la nuit


N° du catalogue                       DH 0089VG


Année de création              1979


Technique                            Eau-forte et burin sur cuivre


Mesures de la matrice      252 x 174 mm (feuille 350 x 500)


Nombre d'états                     4


Tirage                                  100 exemplaires + XX épreuves d'artiste sur chine appliqué


Remarques                    quelques essais couleur (vert) ; la moitié de l’édition a été cédé à l’institut                

                                         bancaire italien Efibanca


Bibliographie                    Bodart, n°81, 1980.

                                                Appella, n°77, 2002.

                                                Palombi, p. 119, 1993

                                                Panorama Museum, 2009, p. 111

les Temples de la nuit  1979   n°89      (B.81)

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Allegato all’incisione per la EFIBANCA, si propone questo testo di Virgilio Guzzi:


Oggi tutti incidono lastre, spacciano incisioni. Il consumismo dilaga anche nel mondo dell’arte ? Per la verità stiamo correndo il rischio di vedere un giorno o l’altro l’antica e nobile arte della stampa ridotta a facile esercizio: peggio, a speculazione commerciale. Invece essa fu sempre, e ancora può riuscire, difficile. Richiede una speciale vocazione, ed esperienza di mente e di mano. Si guardi alla opera grafica di Jean-Pierre Velly, artista francese venuto a Roma col “pensionato” di Villa Medici e rimasto tra noi coll’animo di un Poussin e di un Ingres. Si guardi alle acqueforti di questo giovane talento; di questo “specialista” dalla coscienza d’un classico, tanto ricco di inventiva e fantasia quanto raffinato e profondo conoscitore del suo “mestiere”. Francamente non sapremmo trovare chi possa competere con lui, egli è davvero ciò che si dice un maestro. Un maestro dal gusto fondato sullo studio e sulla conoscenza degli antichi bulinasti; orientato piuttosto verso il Durer che verso Rembrandt o Goya. La sua maniera è filata, sottile, poco o nulla indulgente verso gli effetti pittorici, per quanto poi capace di rendere i valori della luce, di indicare la varietà del colore. Sconcerta, perfino, l’amore paziente, la perspicacia di quest’occhio che s’addentra dovunque, e di tutto dà conto.

Non siamo più abituati a una classicità così compiuta, e corriamo il rischio – se non stiamo attenti – di giudicarla virtuosa. Invece Velly è un visionario, e ha la sua “moderna” idea del mondo. La quale ci sembra, consiste della materia più o meno tradotta in manufatto, congegno, e patimento, ansia, divinazione dello spirito incarnato, cioè dell’uomo nudo e indifeso, sottoposto alla sferza del tempo e dei pensieri, forte della sua bellezza tramandata dall’arte e dalla storia come dalla remota e vergine natura. Il  tutto sa di magia, si pone come metamorfosi, sembra investire i massimi problemi, alludere all’imminenza di fenomeni apocalittici, animarsi d’una vita inquieta e un poco sinistra (demoniaca).


La civiltà è in quell’estremo contrasto, come messa a giudizio. E come il Velly vuol proprio andare a fondo, ecco che la sua indagine divenuta spietata. Non c’è parvenza (oggetto, relitto, congegno, frammento; particolare anatomico, roccia, ramo, fronda, superficie terrestre o marina): non c’è cosa ch’egli non voglia conoscere in aspetto e struttura; e non disegni, delinei con mano ferma; e non chiaroscuri per renderne il volume, la materiale e particolare consistenza. Il fondo umanistico di origine cinquecentesca – meglio, secondo una tradizione tutta francese, manieristico che michelangiolesco – viene come sopraffato dalla spettacolarità della Natura indomita e delle cose. Queste, concepite e viste quali rottami e rifiuti, ammucchiate e disperse nello spazio in una promiscuità che fa pensare alla fine del mondo e insomma alla stanchezza mortale di un’età che ha consumato se stessa, sono a un tempo capricci surreali, strumenti e simboli: tra organici e meccanici. I tubi somigliano ad arterie, e vice versa.

“Un gusto maturo, questo di Velly. Sostanzialmente nordico, tanto è analitico, dottrinario, concettoso, paesistico: sospeso tra Medioevo e Illuminismo. Realistico quanto è possibile, fantastico parimenti. Tutto ch’è al mondo è forma, edificata a fasi successive, ognuna delle quali in sè perfetta. Nessuna incertezza, nessuna incompiutezza. La parte richiama al tutto, col giuoco dei riflessi: come la pelle si stira sui visceri, sui muscoli, veste serica di un’anatomia piena di contrazioni e sussulti. Qualcosa di morboso, di dolente è nell’immagine. Ma la tensione conoscitiva, quella certa esasperazione scientifica la sottrae al sospetto di decadentismo, ben saldata com’è all’ansia morale, nutrita di interrogativi. Un gusto ricco di contaminazioni; dove si rimescolano e donde poi si versano come da cornucopia passato e presente, l’antico spirito folletto e il nuovo incubo metallurgico, il cuore e l’apparecchio. Meglio infine che alla pur ambigua Notte di Michelangelo pensi – e stretto fra i misteri e sortilegi dell’essere trascendente della vecchia cultura nordica e le glorie formali e sostanziali della coscienza una mistica. Solo che qui i termini appaiono nel tempo rovesciati.


Virgilio Guzzi


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