Velly        Biografia : terza parte 1980-90
 
 

1980


Concarneau, aprile.

Galerie Gloux,

Jean-Pierre Velly

Espone incisioni e disegni recenti.


Roma, 19 novembre-20 dicembre,

Centro Culturale Francese,

L’Oeuvre gravé 1961-1980.


Per l’occasione esce il catalogo ragionato dell’opera incisa dal 1961 al 1980. La prefazione al volume è di Mario Praz, le schede delle opere sono di Didier Bodart che analizza in totale 82 incisioni.


II volume, stampato a Roma in 1 500 copie numerate, di cui le prime 125 con un’incisione originale firmata dall’artista (100 esemplari numerati da 1 a 100, 20 prove d’artista numerate da I a XX, tirati con torchi a mano dalla stamperia “Corbo & Fiore” di Roma).


Roma, 20 novembre-20 dicembre 1980,

Galleria Don Chisciotte,

Jean-Pierre Velly - Bestiaire perdu.


Espone una serie di acquarelli a soggetto animale (scarafaggi, scorpioni, rane, pipistrelli, gufi), alcuni disegni e due olii. Per l’occasione, le Edizioni della Galleria Don Chisciotte pubblicano il volume con le illustrazioni degli animali accompagnate da suoi testi poetici, in una tiratura di 600 copie numerate, le cui prime 125 con un’incisione originale firmata dall’artista. Cento esemplari sono numerati da 1 a 1 00, venti prove d’artista sono numerate da I a XX, e cinque esemplari fuori commercio sono distinti con le lettere A, B, C, D, E. Le stampe sono state tirate con torchi a mano dalla stamperia «Corbo & Fiore» di Roma.


Marisa Volpi, accenna al libro in un testo del 1993:


“Nel 1980 la Galleria Don Chisciotte pubblicò un bellissimo Bestiaire perdu, che rileggo e riguardo, ricordando una visita conturbante compiuta forse nel 1986, allo studio di Velly a Formello, dove si respirava un’atmosfera fuori dal tempo, antica e tuttavia così vera. Ambedue le esperienze mi affascinano ancora per la poesia e l’intensità con la quale insetti e piccoli animali, splendidi e ripugnanti, costituivano per lui (per me) un’identificazione dell’umano nella perdita universale. E come lo slancio e la fermezza di Velly affrontavano con l’energia della forma il deperire della materia, la fatalità del dolore, una sorta di alchimia visionaria, infine esaltante.

Si leggono in Bestiaire perdu versi del pittore: «Vous m’avez cloué, - Je n’étais que locaire», Voi mi avete inchiodato, io non ero che un ospite precario». È il rimpianto disperato della libertà nella fragilità del vivere. E poi : «Le clair que tu hais vient du noir qui te manque». Inquietanti chiarità e oscurità nei disegni, acquarelli e collages di Bestiaire perdu si integrano. Tra dipinti splendono scarabei trafitti, scorpioni, coleotteri: uno sembra sognare fiori, un altro nitido nella carta rigata da quaderno si colloca in un alone di cirri, altri insetti, altri animali, incontrando fulcri di luce accecanti come quelli dei pittori antichi tedeschi, o Runge. Qualcuno è morto, qualcuno arranca, qualcuno minaccia .


(cfr. Marisa Volpi, Velly notturno e diurno, in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp.16).


si legge su «Excelsior»:

“Velly elabora durante 6 o 8 meses cada una de las planchas de cinc o cobre sobre las que trabaja a buril, a la punta seca o mediante la corrosido del los àcidos. Esta labor da resultados proprios de un proceso en el tiempo, dando rasgos barrocos al cojunto temàtico creando un manierismo perfeccionista y de acumulaciòn producida por el agregado de cuanto le sugiere la pnmera prueba, luego la segunda y asi siguiendo hasta llegar a veces a 7 y 8.

Los distintos momentos emocionales del hacer lo llevan a cancelaciones, arrepentimientos a un discurrir casi narrativo.

En general todos los grabaos de Velly passan por metamorfosis generativas por ejemplo “Trinidad de los Montes” cuya complejidad compositiva comienza por una estapa del trabajo a punta seca del desnudo femineo, en primer piano, de la que realiza una prueba unica.

Si bien Velly es exceptional desde el punto de vista tècnico y de una associòn ilimitada debido quizàs a su capacidad de reproducir con exactitud cuanto se propone pertence a un grupode jovenes ilamado “Grabados Visionarios” de Paris que en el ‘76 presentò tambièn a la Galeria Don Quijote de Roma”.


(cfr. Expone en Roma Jean-Pierre Velly,

«Excelsior», Mexico City; 20 febbraio 1980)


Scrive Fortunato Bellonzi:


“La perspiquità di indagine e la sostenutezza dell’energia gareggiano con quelli del naturalismo nordico e gotico, che ha una storia secolare ininterrotta, di cui gli esempi, a noi più vicini nel tempo, sono nel prearaffaellismo inglese - nel simbolismo.

Velly si ricollega spontaneamente a tali lontane premesse, anche del gotico nostro. Un suo pipistrello inchiodato nelle ali è così vicino all’analogo disegno di un ignoto artista toscano degli ultimi decenni del Trecento (figurava nella recente mostra di disegni toscani e umbri del primo Rinascimento, organizzata dall’Istituto Nazionale della Grafica) che il confronto stupirebbe non badando al diverso significato delle due immagini, descrittiva la prima, consapevolmente tragica la seconda; e alla fattura: in Velly secca e carica di moniti.


Lunghi, sottili spilli compaiono confitti con forza cosciente nel torace, nell’addome dei coleotteri e degli scorpioni le cui parti segmentate - elitre, antenne, organi boccali, zampe, chele, anelli, scaglie conservano, sebbene separate, completezza formale e propriamente bellezza di gioielli minuscoli, di intagli preziosi (perciò, appunto, nominiamo insetti la gran parte degli artropodi).


L’occhio del disegnatore, attento e raccapricciato, si ferma a interrogare queste reliquie della vittima (per «inferiori» che possano essere classificati da noi i viventi) la quale conserva la medesima organicità e forza per l’intera scala quasi interminata delle creature, al cui vertice senti operante la virtù creativa, Dio o Natura. E nell’indagine dell’artista cogli l’oggettivazione scrupolosa nell’atto in cui, superata la naturalezza rappresentativa, si pone sul piano della contemplazione e quasi della religiosità.


Attorno ai topi uccisi e appiccati per il muso, o ai rapaci crocifissi, spesso una vibrante trama grigia interviene, nell’alto o nel basso della pagina bianca, a comporre una specie di aureola, un arco di cielo spento, un margine di giardino disseccato: sono foglioline, ireos, tignole, larve ( sottovetro i vegetali non meno degli animali) condotti a lapis con incredibile spicco nel formicolare delle minute parvenze; mentre gocce oblique di rosso acquerellato e graffi e grumi di inchiostro (l’effetto può rammentarci i grovigli simbolistici e calligrafici di Wols) traversano lo spazio: schizzi di sangue, umori spremuti dalla circolazione vasale schiacciata. Talvolta una macchia nera si stampa nella pagina; è l’orma della bestia spiaccicata, come ne restano sui muri calcinosi dei ricetti poveri.


… Velly commenta coi versi le proprie immagini lucidi e dolenti. … Una sorta di Antologia di Spoon River degli insetti, dei roditori, dei rapaci, è il Bestiaire perdu di Velly … il rifiuto della morte iniqua … per Velly è invece ragione primaria di conoscenza e proposito fermo di contrapporle la poesia: destinata a perdere tutte le battaglie, ma, al pari della fenice, risorgente sempre dalle proprie ceneri.


(cfr. Fortunato Bellonzi, Il mondo annichilito di Jean-Pierre Velly,

in «Il Tempo», Roma, 28 novembre 1980).


Vito Apuleo, Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 11 dicembre 1980.


E ancora, Antonio De Lorenzi:


“Nella poesia di Velly, fatta di parole indissolubilmente legate alle immagini visive, il «cimitero degli animali» si trasfigura in un originalissimo «teatro» della creazione, un fantastico e allucinante universo propriamente medievale, una fiaba non priva di aspetti orridi e rischiarata da una luce come d’acquario: questa poesia, con i suoi momenti di stupore, sembra ricondurci alla radice del tempo, ai misteri di un’età primigenia o, forse, di un’età futura’.


(cfr. Antonio De Lorenzi, Quasi un bestiario medievale,

in «Messaggero Veneto», Udine, 4 gennaio 1981).


Parigi, 27 novembre 1980 - 15 gennaio 1981,

L’Atelier René Tazé

Exposition des gravures de Fiorenza Bassetti, Louis-René Berge, Richard Davies, Maurice Frey, Fiona James, Jean-Pierre Velly.



1981


Roma, 20 ottobre - 19 novembre,

Galleria Temple - Tyler School of Art in Rome.

Jean-Pierre Velly.

La mostra, antologica, accoglie 40 incisioni.


Guido Giuffrè, il giorno dopo l’inaugurazione, commenta su RA13:


“ … Boschi è un bolognese, si diceva, e dunque italiano. Giova ripeterlo per volgersi alla mostra di Jean-Pierre Velly, che è francese, e sembra tedesco. Le quaranta incisioni esposte alla galleria Temple, della Tyler School of Art in Rome, al Lungotevere Arnaldo da Brescia rappresentano circa la metà di tutta l’opera di uno tra i più acrobatici virtuosi dell’incisione contemporanea. Velly, che non ha quarant’anni, ha sbagliato secolo; era nei suoi programmi di nascere e operare in quel rinascimento tedesco dove sono rimasti i suoi amici Dürer, Grunewald, Schongauer, e per un errore di percorso, egli si trova invece oggi tra noi. Ma non se ne sgomenta e continua oggi il suo lavoro come quegli amici pazientemente gli hanno insegnato ed egli tenacemente ha appreso. In questi fogli dalla tecnica incisoria incredibilmente perfetta, analitica, minuziosa, paesaggi brulicanti di vegetazione corrono verso orizzonti lontanissimi, nudi femminili dalle classiche movenze scavalcano agevolmente i secoli, e folle di cento, mille personaggi rivivono gli incubi di visionari d’altri tempi. Ma in questo modo così in apparenza retrodatato non è soltanto il virtuosismo ammirevole a riscattare la fuga nel tempo. Se talora un che di stantio, di museale, vanifica tanta prestigiosa bravura, talaltra, come in certi paesaggi bruciati e fuligginosi, ossessivamente tempestosi, chi guarda è risucchiato in quei vortici, e la tecnica si fa linguaggio, e il linguaggio voce viva e inquietante”.


Al GR3, nella rubrica Cultura, l’ 11 novembre, alle ore 15. 15, Angelo Mainardi aggiunge:


“Paesaggi apocalittici che ricordano le fantasie di Hieronimus Bosch; uomini dalle sembianze mostruose, nani, idrocefali; nudi di donna dal ventre squarciato da cui emerge una misteriosa sfera: queste le raffigurazioni che campeggiano nelle incisioni di Jean-Pierre Velly, bretone, nato nel 1943, attivo da molti anni a Roma. La sua opera è esposta ora in una mostra antologica che ne documenta il lavoro di venti anni alla galleria Temple, a Roma, per iniziativa della Tyler School of Art e della Galleria Don Chisciotte. La pittura di Velly appartiene alla corrente dell’arte visionaria. Ma non di quella “fine secolo”, segnata da suggestioni simboliste. Il visionarismo di Velly si ricollega piuttosto alla tradizione gotica, a quel mondo fantastico e allucinatorio che dal Medioevo percorre tutta la cultura occidentale fino ai nostri giorni. La contaminazione di forme mostruose di Velly (scrive Mario Praz in un saggio dedicato all’artista) è “affascinante come un sortilegio”. “Questa Historia della infamia è un inno a Satana, al dio che distrugge per  ricreare nuove vittime alla sua insaziabile voracità: è la Natura secondo il verbo di Sade”.


Dario Micacchi scrive: Velly o del dolore del mondo, in «l’Unità», Roma, 18 novembre 1981.


Baden-Baden, 24 ottobre 1981-10 gennaio 1982,

2 Biennale der Europaischen Grafik Baden-Baden.


Partecipa, per la Francia, con: 84 d, Enfin, acquaforte

Erano stati incaricati della selezione, in qualità di commissari:

Gérard Diaz e Jacques Lassaigne.


1982


New York, maggio-giugno, Graham Gallery,

Les Visionnaires.

Espone insieme a Asada, Klaus Dietrich, Ernst Fuchs, Jacques Houplain, Kuhn, Philippe Mohlitz, Mordechai Moreh, Georges Rubel.


Formello, 9-30 ottobre, L’Arca Antichità,

Jean-Pierre Velly.

Espone le ultime incisioni.


Parigi, 22 ottobre-1 novembre,

Grand Palais, FIAC 82 (Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea).


E’ presentato, con una personale di acquarelli dedicati ai fiori, nello stand B 40, dalla Galleria Don Chisciotte di Roma. Padrini della mostra sono Alberto Moravia e Jean Leymarie che introducono il catalogo edito per l’occasione da Giuliano de Marsanich, all’insegna della Galleria Don Chisciotte, con, inoltre, una poesia di Lucio Mariani dedicata a Velly per il suo Bestiaire perdu.


Scrivono  Jean Leymarie  e   Alberto Moravia:


Roma, 26 ottobre- 14 novembre,

Palazzo Venezia, sala Barbo,

Creatività e tecnica d’incisione. Tradizione e ricerca a Roma:1960-1982.

Espone la stampa La clef des songes, 1966, bulino su rame


1983


Belfort, gennaio, Maison des Arts,

Les Visionnaires.

Espone con altri 64 artisti, tra pittori, incisori e scultori, fra cui : Asada, Balossini, Bucaille, Cat, Clayette, Csech, Cupsa, Dietrich, Doaré, Fuchs, Henricot, Houplain, Kuhn, Lepri, Lodého, Lunven, Martin-Bontoux, Mohlitz, Moreh, Roman, Rubel, Trignac.

La mostra viene presentata da Michel Random.


Parigi, 2 marzo-22 aprile,

Galerie Michèle Broutta,

Jean-Pierre Velly.

Retrospettiva dell’opera grafica: 82 opere eseguite tra il 1961 e il 1980 in occasione della pubblicazione del catalogo ragionato curato da Didier Bodart e introdotto da Mario Praz.


Su «Le Figaro» leggiamo


“Prix de Rome de gravure en 1966, Velly expose chez Michèle Broutta son oeuvre gravé complet: douze années de production. Impressionnantes par leur maitrise technique, ces oeuvres plastiquement très classiques évoquent tout un univers pictural où l’on retrouve comme une trace de William Blake, de Bresdin, d’Hercules Seghers, d’autres encore. . . Velly est un excellent graveur travaillant à l’intérieur d’une tradition.

Ce qu’il y a de fascinant chez cet artiste lent, minutieux, c’est la démesure. Une démesure qui s’exprime dans le foisonnement du détail à l’intérieur de l’infiniment petit, dans chaque élément fouillé, fouaillé jusqu’à l’extréme limite du visible. Par exemple dans cette planche intitulée le Massacre des innocents où l’on voit d’innombrables enfants grouillant dans un vaste espace découvert vu d’un peu haut, comme dans beaucoup de toiles de Bruegel où encore cet Ange et linceul qui semble nous ouvrir les portes de come et d’ivoire du reve. Chez Velly le brio technique sert au surgissement de l’imaginaire”

(cfr. M. N., Velly graveur de l’imaginaire, in «Le Figaro»,

Parigi, 28 marzo 1983).


Ancora un commento, su «L’Oeil»:


“Le réel apparait, dans ces gravures, comme une sorte de gélatine aux formes enchevetrées en elles-mêmes et, toutefois, exactement tracées, et qui permettent de passer du naturel à l’humain et, de là, à l’inhumain en une continuelle métamorphose qui laisse deviner un esprit et une imagination irrésistiblement portés vers la métaphore et le symbole”.


(cfr. Paris, Velly in «L’Oeil», n. 332, Parigi, marzo 1983, p.71).


Milano, 30 marzo-26 aprile,

Galleria Gian Ferrari,

Jean-Pierre Velly.

Espone una serie di acquarelli a soggetto floreale.

In catalogo un brano del testo di Jean Leymarie scritto per la mostra alla FIAC del 1982.


Su «Nuova Rivista Europea» si legge:


Moravia e Sciascia sono di fatto i padrini italiani di Jean-Pierre Velly, del quale il 30 marzo è stata inaugurata una eccellente mostra alla Galleria Gian Ferrari. Pare una lezione di botanica questa sua mostra milanese, in realtà è una sensibilissima lezione di pittura, in opposizione discreta quanto inflessibile a tanta non-pittura e anti-pittura.

Questo il giudizio di garanzia di Jean Leymarie: «Da tre o quattro anni Velly ha rinunciato al linguaggio del bianco e nero che prima gli sembrava essenziale alla spinta onirica, e si orienta verso il colore vissuto e la visione naturale. In un movimento non di espansione ma di decantazione. Due serie transitorie dei suoi disegni e acquarelli sono state pubblicate in album, uno, con una prefazione di Leonardo Sciascia, per illustrare Corbière, l’altro, con degli scoli di sé stesso, per evocare e ridar vita al «Bestiaire perdu». …


Dopo la redenzione della figura umana sotto le spoglie del paria, Velly salva e consacra del regno animale le bestie rifiutate, torturate e annientate: insetti, topi, girini, pipistrelli. Due delle immagini del suo Bestiaire de pitié mostrano la cetonia e lo scarabeo dai riflessi metallici accanto a mazzi di fiori di una luminosità fosforescente. I fiori si separano dai coleotteri e inaugurano nel 1980 il gruppo inedito degli acquarelli autonomi dal tono vegetale proposti al pubblico parigino e meravigliosamente commentati da Alberto Moravia. …


L’acquarello dalle riflessioni aeree è la tecnica stessa della pittura cinese in cui predominano il paesaggio e gli emblemi vegetali. Esso acquisisce in Europa la sua piena indipendenza e la fluidità luminosa soltanto nell’Ottocento, con Turner sul versante nordico e Cézanne sul versante latino. La sua libertà presuppone la padronanza del disegno. Dürer, il cui genio fondamentalmente grafico è per Velly l’esempio supremo, ha creato degli acquarelli di natura, insoliti ai suoi tempi, che rimangono i prototipi e la più alta espressione del genere, e, per i giovani artisti contemporanei, delle incitazioni inaudite a riscoprire la densità del reale»


(cfr. La Lezione di Velly,

in «Nuova Rivista Europea», Trento, marzo 1983).


Parigi, maggio-giugno,

Espace A.G.F.-Richelieu, Reves, Symboles et Imaginaires.

La mostra è presentata da Michel Random.


Parigi, 24 settembre-2 ottobre, Grand Palais,


FIAC 83 (Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea).

E presentato dalla Galerie Michèle Broutta, insieme a Blériot, Moreh e Jacques Le Maréchal.

Il catalogo riporta la riproduzione di fleurs, 1971 (Bodart 69).


1984


Roma, 29 marzo-31 maggio, Galleria Don Chisciotte,

Au dela du temps - Acquarelli di Jean-Pierre Velly.

Espone 17 acquarelli


1. Notturno, 1984, cm. 78x56

2. Fiori lunari, 1984, cm. 78x56;

3. Finestra 1, 1983, cm. 39x28;

4. Fiori di Spagna, 1983, cm 39x56;

5. Fiori viola, 1983, cm. 78x56;

6. Fiori di Lucia, 1983, cm. 28x39;

7. Vaso di fiori sul mare, 1982-83, cm. 78x56;

8. Rovi, 1983, cm. 56x78;

9. Pirouette, 1983, cm. 78x56;

10. Rovere, 1983, cm. 56x78;

11. Amour en cage, 1983, cm. 39x28 ;

12. Paesaggio blu, 1984, cm. 56x39;

13. Fiori appesi, 1984, cm. 76x56;

14. Due vasi, 1983, cm. 56x39;

15. Fiori al tramonto, 1983, cm. 39x56;

16. Grande paesaggio con fiori rossi, 1983, cm. 78x56;

17. Finestra 2, 1984, cm. 78x56.


In catalogo e, in parte sui cartoncini d’invito, i testi di Jean Leymarie e Alberto Moravia scritti per la mostra alla FIAC del 1982.


Franco Simongini scrive Velly: il simbolismo della bellezza vegetale,

in «Il Tempo», Roma, 1 aprile 1984).


Enzo Bilardello, Gli acquarelli di Velly,

in «Corriere della Sera», Milano, 9 aprile 1984).


Giorgio Soavi:

“Prima ho detto che non c’era nulla di decadente perché non c’era, e non c’è, nulla di marcio, di decomposto nei suoi disegni. Credo che il suo erbario sia stato appena colto e in ogni caso l’occhio di Velly lo guarda come se si trovasse, lui adolescente, di fronte alla grande scoperta delle erbe che circondano il nostro pianeta. Ogni erba dritta in piedi parte, necessariamente, dalla zolla di Dürer, così come un coniglio è Dürer. Ciò che segue quel coniglio non e altro che la variante di quel tema. Ma i fiori o l’erbario di Velly non sono trasparenti come quelli del capolavoro di Dürer ma di carne, una carne verde, piena di filamenti odorosi, con dentro un acqua e i suoi fili d’erba li abbiamo masticati durante una gita migliaia di volte, sempre aspettando il momento in cui quel particolare sapore amaro si deposita sulla nostra bocca. Una sensazione antropofaga mi suggestiona guardando questi acquarelli che mangerei, uno per uno, lentamente, mentre sto camminando per raggiungere un posto lontano da qui, una camminata quasi estenuante ma di straordinaria compagnia con le forze della natura.

… I suoi disegni suscitano in me lo stesso fervore con il quale si guardano le immagini della pittura cosiddetta sacra, l’annunciazione, la natività, la creazione. Stupore, fervore. Il mondo sta ribollendo ma non corre verso la catastrofe, è stato fermato o si è fermato un attimo per contemplare una creatura appena nata, e l’aria che sta sospesa intorno a quell’avvenimento è l’aria che si respira quando si guarda la bravura con la quale Jean-Pierre ha disegnato le sue erbe”.


(cfr. Giorgio Soavi, Jean-Pierre Velly,

in «Epoca», n. 1749, Milano, 13 aprile 1984).


Vito Apuleo, Le mostre. Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 24 aprile 1984).


Parigi, aprile-maggio, Bibliothèque Nationale,

Cent gravures originales de la nouvelle génération des graveurs.

Espone : Les temples de la nuit, 1979.

Tra gli altri artisti : Asada, Doaré, Le Maréchal, Lodého, Mazuru, Mohlitz, Rubel, Tingaud, Trignac.

La mostra, itinerante, tocca i maggiori centri francesi.


Roma, 5 maggio.

Si costituisce il “Centro Culturale Permanente Grafica d’Arte” di Montecelio che, dal 1985, si chiamerà Istituto San Michele e dal 1989 Istituto Montecelio. Entra a far parte del Comitato Scientifico, insieme a Giulio Carlo Argan, Livio Cristini, Gerardo Lo Russo, Manlio Massironi, Massimo Pistone, Stefano Salvi e Guido Strazza. Si dedica, fino alla scomparsa, ai corsi didattici relativi alla qualità e al significato dei segni, avendo a fianco, per le tecniche calcografiche, Tudor Dragutescu e Rita Di Stefano.


1985


Milano, dicembre. Esce, a cura di Giorgio Soavi, su progetto grafico di Enzo Mari, l’Agenda Olivetti 1986, illustrata da 13 suoi acquarelli appositamente eseguiti.


1986


Roma, 18 aprile-31 maggio, Galleria Don Chisciotte,

Jean-Pierre Velly. Prefazione di Marisa Volpi

Espone, come da elenco in catalogo:


1.Montagne, 1985, olio su tela incollata su tavola, cm. 97x71 (ill.);

2.Fiori sul mare, 1985, olio su tela incollata su tavola, cm. 80x60 (ill.);

3.Crepuscolo;1985, olio su tavola, cm. 54x37 (ill.);

4.Chiaro di luna, 1985, olio su tavola, cm. 54x37 (ill.);

5.Monete del Papa, 1985, olio su tavola, cm. 54x37 (ill.);

6.Après, 1985, olio su tela, cm. 140x97 (ill.);

7.Finestra con tenda, 1985, olio su tavola, cm. 250x70 (ill.);

8.Paesaggio, 1985, acquarello, cm. 28x42 (ill.);

9.Autoritratto, 1985, punta d’argento, cm. 49x35;

10.Paesaggio, 1986, olio su tavola, cm. 70x50;

11.Bucranio, 1986, olio su tavola, cm. 70x97 (ill.);

12.Anemoni, 1986, olio su tela incollata su tavola, cm. 50x70 (ill.);

13.Rose bianche, 1986, olio su tavola, cm. 97x71 (ill.);

14.Autoritratto, 1986, punta d’argento, cm.49x35;

15.Autoritratto, 1986, inchiostro e matita, cm.48x34;

16.Campagna romana, 1986, tempera, cm. 28x39 (ill.);

17.Prima dell’ombra, 1986, tempera, cm. 56x38 (ill.);

18.Tramonto, 1986, tempera, cm. 38x56 (ill.);

19.Reliquie, 1986, tempera, cm. 56x38 (ill.);

20.L’onda, 1986, tempera, cm. 71x48; (ill.);

21.Montecelio, 1986, olio su tavola, cm.49x71.





Antonello Trombadori commenta:


“La scelta di Velly si iscrive naturalmente nello svolgimento della giovane pittura italiana dal 1960 in poi. C’è, di certo, nel suo rifugio nella «beata solitudo» medievaleggiante tiberina anche il riflesso del revival quasi preraffaellitico che si esprime, un pò dovunque in Europa, nella fuga dall’assedio tecnologico urbano. Ma tanto più Velly riesce a dischiudere finestre e a indicare sentieri di fuga quanto più la sua fantasia si fa introspettiva e si concentra su oggetti e luoghi di una segreta e separata esistenza. Il suo stile si precisa in tal modo come un momento del medesimo processo inventivo che è tipico di alcuni pittori italiani di più sicuro spirito europeo. Ne cito due di diversa generazione e di diverso impatto con l’immagine: Piero Guccione e Enzo Cucchi. L’attenzione portata a Velly da Jean Leymarie, da Alberto Moravia, da Leonardo Sciascia, da Giorgio Soavi, da Marisa Volpi pone giustamente l’accenno sulle ascendenze nordiche di un magistero grafico che risale a Seghers e a Rembrandt, a Bresdin e a Redon. A me risulta impossibile non collegare i «fiori» di Velly a quelli sia di Antonio Donghi che di Mario Mafai rivisitati in modo tale da fare appunto di lui, come un po e accaduto al suo coetaneo tedesco Dieter Kopp, uno dei rianimatori dell’eredità fertilissima della Scuola Romana della prima metà del secolo”.


(cfr. Antonello Trombadori, Velly i fiori del pensionato, in «L’Europeo», Milano, 17-26 aprile 1986, p.134).


E Franco Simongini, Velly: Quel miracolo vegetale nell’infinito,

in «Il Tempo», Roma, 21 aprile 1986).


Enzo Bilardello, a cura di, Preziose malinconie di Velly,

in «Corriere della Sera», Milano, 21 aprile 1986).


Venezia, giugno-settembre, Palazzo Sagredo,

Iniziative Keplero. Pittori in Italia nella civiltà dell’energia e dell’eletronica.

Espone: Fiori sul mare, 1985, olio su tavola, cm 80x60 (ill.).

La scheda, nel catalogo Fabbri Editori che annovera contributi di Maurizio Calvesi, Stefano Rodotà, Marisa Volpi e Marisa Vescovo, è di Patrizia Radocchia.


Milano, 18 novembre.

Esce, presso Garzanti, Il quadro che mi manca di Giorgio Soavi. Il libro racconta vita, opere e manie di pittori e scultori celebri (Balthus, Giacometti, Sutherland) conosciuti da Soavi ma anche di giovani come Horst Janssen, Piero Guccione, Domenico Gnoli e Jean-Pierre Velly.


Scrive, tra l’altro, Soavi:

“’L’ultima volta che ho dato un’occhiata allo studio di Giacometti a Parigi per poter guardare avevo messo una sull’altra delle cassette di birra trovate per strada e di lassù, guardando in quella stanzetta ormai vuota avevo visto posato su un piccolo tavolino un bouquet di fiori che un’ammiratrice aveva messo là. Erano i fiori, le ossa, i fili, i rammendi, la siepe d’aria, l’imbastitura dei sudi disegni. Non erano fiori qualsiasi, perché si erano immedesimati in lui.

Questi qui dello studio di Formello si sono immedesimati in Jean-Pierre Velly che poi disegna su vecchie carte con aggiunte di pezzettini di carta, simili a piccoli rattoppi su una mappa e i loro colori anche se sono verdolini hanno un fondo color biscotto, pochissimo cotto.


Si tratta in generale di erbe posate su un tavolo o sistemate in un bicchiere d’acqua. Lo sfondo è talvolta grandioso perché dietro quei davanzali di fiori ci sono notti stellate, le onde di un mare di acque basse o si apre su un paesaggio luminoso e immenso che mi ricorda il celebre quadro di Altdorfer dove al di là delle figure dei soldati che combattono si apre il più straordinario paesaggio di sole bruciato nel tramonto. Una visione una apertura da togliere il fiato, il mio se non altro, che è il fiato di un semplice osservatore ammirato.

La luce diffusa che sta nella sua stanza una stanza piccolina piena di muri a secco. Per ottenere la luce diffusa da acquario che colpisce i fiori Velly ha fabbricato una specie di telaio con una carta bianca, un altarino che accompagna l’interno dello studio”.


1987


Milano, 6- 14 giugno, Fiera di Milano,

Arte segreta. Lo spazio del silenzio.

Espone: Le rose bianche, 1986, olio su tavola, cm 97x71 (ill.).

 

La mostra, a cura di Vittorio Sgarbi, accoglie opere, tra gli altri, di Bailey, Boschi, Clerici, Ferroni, Foppiani, Gnoli, Guarienti, Guccione, Kopp, Koulbak, Lacasella, Luporini, Pompa, Sarnari e Vinardell.


“Esistenza e geometria, inquietudine e forma - scrive Sgarbi nel catalogo Cariplo pubblicato dalle Poligrafiche Bolis di Bergamo - sembrano stringersi in queste immagini, nella cui misura, nella cui sicura resa espressiva riposa una grande forza evocativa. L’uomo è sempre dall’altra parte, che guarda, un attimo prima della soglia di un ambiente, al di qua di una finestra, davanti a un paesaggio. Ciò che vede è la sua stessa solitudine. Tali opere rappresentano la coscienza che ogni individuo - irreparabilmente solo, che il mondo è un infinito deserto. Protagonista di questi spazi dove l’uomo non appare, e se appare è soltanto un elemento della composizione per suo interno ritmo, è il silenzio”.   

   leggere il testo per esteso.


1988


Roma, 30 marzo-30 aprile, Galleria Don Chisciotte,

Jean-Pierre Velly.

Espone, come da elenco in catalogo:

1.Nudo con lenzuolo, 1986, matite colorate, cm 57x76 (ill.);

2.Nudo disteso, 1987, matita, cm40x70 (ill.);

3.Vaso con fiori e mare, 1987, olio su tavola, cm 78x60 (ill.);

4.Natura morta, 1987, olio su tavola, cm 97x70 (ill.);

5.La disperazione del pittore, 1987, acquarello, cm 100x70 (ill.);

6.Teresa, 1987, matita e sanguigna, cm 70x100 (ill.);

7.Autoritratto alla mano sinistra, 1987, matita, cm 76x57 (ill.);

8.Nudo, 1987, matita, cm 57x76 (ill.);

9.Tiziana, 1987, matite colorate, cm 76x57 (ill.);

10.Autoritratto con orologio, 1987, matita, cm 76x57 (ill.);

11.Nudo addormentato, 1987, matita e sanguigna, cm 100x70 (ill.);

12.Nudo seduto, 1987, matita e sanguigna, cm 57x76 (ill.);

13.Autoritratto a grandezza naturale, 1987, matita, cm 76x57;

14.Raffella, 1987, matita e sanguigna, cm 76x57 (ill.);

15.Nudo sul letto, 1987, matita e sanguigna, cm 70x100 (ill.);

16.Grande paesaggio, 1988, olio su tela, cm 150x100 (ill.);

17.Autoritratto, 1988, olio su tela incollata su tavola, cm 97x70 (ill.);

18.Studio d’albero, 1988, inchiostro, cm 76x57 (ill.);

19.Piccolo paesaggio, 1988, olio su tela incollata su tavola, cm 60x80 (ill.);

20.Tramonto sulla campagna, 1988, acquarello, cm 38x56 (ill.);

21.Studio d’albero II, 1988, inchiostro, cm 76x57 (ill.);

22.Studio d’albero III, 1988, inchiostro, cm 100x70;

23.Studio d’albero IV, 1988, inchiostro, cm 100x70;

24.Natura morta, 1988, olio su tavola, cm 60x80.





Il testo è riportato anche sul pieghevole dell’invito all’inaugurazione della mostra e verrà riproposto, nel 1989, nel volume La stanza dipinta pubblicato dalla Novecento Editrice di Palermo.


Il primo a occuparsi della mostra è Giorgio Soavi:


“Come un meteorologo avverte gli spettatori ignari di una imprevista, drammatica inversione di tendenza, con Velly, che ci aveva fatto balenare lampi di luce verdolina o solare sui fili d’erba o sui fiori nei vasi, adesso si presenta con questa serie di autoritratti, cupo e distante dal suo lavoro precedente, imponendoci di guardare la nuova realtà. si è disegnato come se fosse un uomo antico o di altro pianeta, del tempo in cui la pittura attraversava la tela o la carta affermando drammi e penitenze, più ombre che luci. C’è che oggi sembra preso da un’euforia di morte, da un indice di gradimento che pretende di intimidirci, annunciandoci la peste prossima ventura. Ma non tanto lontana.


. . Anche i bellissimi, sensuali disegni di femmine sono della stessa mano: voglio dire che quei corpi sono attraversati, come gli autoritratti, da severi bagliori. [ . . . I. Velly con la sua tensione descritta con infinita pazienza ci sorprende: è un teatro senza applausi, gelato o congelato da una nuova grandezza”.


(cfr. Giorgio Soavi, E un giorno Velly spense il sole e celebrò il buio,

in “il Giornale nuovo”, Milano, 3 aprile 1988).


Poi Vito Apuleo, Jean-Pierre Vetty. Magia del tempo,  in «Il Messaggero», Roma, 5 aprile 1988.


Franco Simongini: Velly alchimista,  in «Il Tempo», Roma, 7 maggio 1988).


La mostra festeggia il 25° anniversario della Galleria Don Chisciotte.


Milano, novembre. Le Edizioni Elli e Pagani pubblicano il volume

Jean-Pierre Velly, con testi di Roberto Tassi e Giorgio Soavi.


Il testo di Tassi si intitola Vessilli della natura:


“Negli acquarelli il lungo lavoro dell’opera grafica è presente senza vedersi, presente in assenza; è quel lavoro che crea come un terreno, uno spessore, un’invisibile materia, su cui si posano, e su cui prendono consistenza la levità, la delicatezza, la luce, l’espansione aerea, lo spazio infinito, la micrografia palpitante, degli acquarelli. L’opera grafica è presente nella mano che traccia minuti tratteggi con pennelli sottilmente acuminati, nello spirito che vede l’immensa pullulazione della natura.”

(leggere il testo per esteso)


Giorgo Soavi intitola il suo contributo Fiori invernali:


“Lo studio è una specie di caverna bianca e rocciosa, e le rocce la sovrastano, o accompagnano e circondano i suoi spessori di stanza come una catena di montagne rocciose circonda la pianura. In pianura ci sono i tavoli, la luce elettrica, le sedie, un torchio per stampare le acqueforti e un cartello fissato al muro con puntine o chiodi che avverte, in lingua italiana: «Qui dentro non si tocca niente». (leggere il testo per esteso)



1989




Milano, maggio.

Silvia Dell’Orso li dedica un saggio-intervista

Géniale vittima di un melanconico Saturno   (vedere la pagina dedicata a Saturno)

in «Arte», a. XIX, n. 196, Mondadori, Milano, maggio, p.95).



Parma, 21 ottobre- 10 dicembre

Galleria La Sanseverina,

Jean-Pierre Velly.


Espone, come da elenco in catalogo, dipinti acquarelli e disegni:


1.Vaso di flori sul mare, 1983, acquarello, cm 77x55;

2.Après, 1985, olio su tela, cm 140x97;

3.Le monete del Papa, 1985, olio su tavola, cm 54x37;

4.Finestra con tenda, 1985, olio su tela, cm 50x70 (ill.);

5.Anemoni, 1986, olio su tela incollata su tavola, cm 50x70 (ill.);

6.Vaso di fiori e mare, 1987, olio su tavola, cm 78x60 (ill.);

7.Raffaella, 1987, matita e sanguigna, cm 76x57;

8.Tiziana, 1987, matite colorate, cm 76x57;

9.Nudo disteso, 1987, matita, cm 40x70;

10.Nudo seduto, 1987, matita e sanguigna, cm 76x57;

11.Autoritratto con orologio, 1987, matita, cm 76x57;

12.Fiori invernali, 1987, acquarello, cm 92,5 x 61,5;

13.Grande paesaggio, 1988, olio su tela, cm. 150x100;

14.Autoritratto, 1988, olio su tela, cm 97x70 (ill.);

15.Piccolo paesaggio, 1988, olio su tela, cm 60 x 80;

16.Autoritratto in piedi, 1988, olio su tavola, cm 100x72;

17.Nicchia, 1988, acquarello, cm 70 x 100;

18.Finestra, 1988, acquarello, cm 100 x 70;

19.Onda, 1988, acquarello, cm 76 x 57;

20.Finestra notturna, 1988, acquarello, cm 100 x 70;

21.Fiori secchi, 1988, acquarello, cm 55x73 (ill.);

22.La casa di Sutri, 1989, acquarello, cm 70 x 100 (ill.);

23.Autoritratto, 1989, matita, cm 100x70 (ill.);

24.Piccolo tramonto, 1989, acquarello, cm 70x100;

25.I cardi blu, 1989, olio su tela, cm 97x71;

26.Albero, 1989, inchiostro, cm 100x70;

27.Ritratto di Giuliano de Marsanich, 1989, matita, cm 70x50;

28.La quercia, 1989, acquarello, cm 70x1 00 (ill.);

29.Cascata d’albero, 1989, acquarello, cm 100x70 (ill.);

30.Tramonto verde, 1989, acquarello, cm 70x100 (ill.);

31.Sutri I, 1989, acquarello, cm 100x70;

32.Sutri II, 1989, acquarello, cm 100x70 (ill.);

33.Tramonto sulla spiaggia, 1989, acquarello, cm 57x76;

34.Amore in gabbia, 1989, acquarello, cm 98x70;

35.Grande tramonto, 1989, acquarello, cm 106x150;

36.Grande nudo sdraiato, 1989, acquarello, cm 106x150;

37.L’ora grande, 1989, olio su tela, cm 234x148 (ill.).



E le incisioni:

1.Main crucifiée, 1964, acquaforte;

2.Etude de pied en croix, 1965, acquaforte;

3.Grand paysage des Gorges I, 1965, acquaforte;

4.La clef des songes, 1966, bulino;

5.Maternité I, 1967, acquaforte e bulino;

6.Maternité II,, 1967, bulino;

7.Valse lente pour l’Anaon (Triptyque), 1967, acquaforte;

8.Maternité au chat, 1967, acquaforte e bulino;

9.Rosa au soleil, 1968, bulino e acquaforte;

10.Trinità dei Monti, 1968, bulino e acquaforte;

11.Paysage aux autos, 1969, acquaforte e bulino;

12.Le ciel et la mer, 1969, acquaforte;

13.Massacre des innocents, 1970-1971, acquaforte;

14.Paysage plante, 1971, bulino e acquaforte;

15.Ville détruite, 1971, acquaforte;

16.Qui sait? 1973, acquaforte e bulino;

17.Enfin, 1973, acquaforte e bulino;

18.Un point, c’est tout, 1978, acquaforte e bulino.


Roberto Tassi, in catalogo (leggere il saggio in esteso), afferma:


“un artista dotato, sin dall’inizio, di un grande talento, di una violenta forza d’immagine, di una fantasia dolorosa; e soprattutto di una capacità di fondere il particolare con l’universale, un frammento della realtà ridotta, minuta e un frammento della realtà immensa, di parlare per presenze reali, per simboli e per pensieri analogici, dando così uno spessore senza limiti all’immagine...”




Fedele come sempre, Giorgio Soavi commenta l’avvenimento nel articolo

Vellicarsi con Velly,   in “il Giornale nuovo”, Milano, 28 ottobre.



Vittorio Sgarbi recensisce la mostra:


“Il romanticismo non è finito. Entrando nelle sale della Galleria Sanseverina di Parma ci abbagliano raggi di sole su orizzonti senza fine, luoghi incantati, selve, rifugi, anfratti nei boschi; la grande pittura di paesaggio da Turner a Corot è tutta rievocata nell’opera di Jean-Pierre Velly, un francese che ha deciso di vivere a Formello, vicino a Roma. Ciò che resta nella natura italiana, accostata ad allegorie di fiori sempre sul punto di diventare secchi, è il tema privilegiato della sua opera. Velly cerca di riprodurre con i luoghi lo spinto stesso degli etruschi. Una vita della morte, una religiosità notturna, Così una casa fra gli alberi di Sutri dapprima è un’apparizione tranquilla; poi, nella Grande ora, è il tempio degli spiriti della terra da cui sembra prendere origine l’energia luminosa del cielo che si scarica sull’orizzonte. La terra allora appare come un luogo delle ombre in un sublime contrasto con la luce del cielo”.


(cfr. Vittorio Sgarbi, Velly d’oro. Spirito del tempio,

in «Europeo», a. XLV, n.47, Milano, 24 novembre 1989).


Milano, ottobre. Giorgio Soavi ripropone sul n. 75 di «FMR», commentandolo con alcune belle immagini di opere della collezione Barilla, il testo già pubblicato nel volume dedicatogli dalle Edizioni Elli e Pagani.


Milano, dicembre.

Nel n. 19 di Grafica.

Annuario della Grafica in Italia, edito da Giorgio Mondadori, Ivana Rossi dedica un saggio a Le incisioni di Jean-Pierre Velly in Paolo Bellini (a cura di), Grafica. Annuario della Grafica in Italia, n. 19, Giorgio Mondatori & Associati, Milano, 1989, pp.63-66).


Roma, dicembre. Appare l’intervista di Jean-Marie Drot sul numero 7-8 di «Villa Medici» - Journal de voyage  cfr. Dialogue de Jean-Marie Drot avec Jean-Pierre Velly, in «Villa Medici» - Journal de voyage, a. III, n. 7-8, Edizioni Carte Segrete, Roma, dicembre 1989, p.26).




1990


Milano, aprile. Nel volume La casa degli sposi, edito da Camunia, Fausto Gianfranceschi inserisce un racconto, La biglia sul picco, ispirata a Velly.


“Da qualche anno ha cominciato a dipingere a olio, e il suo mondo si è fatto più cupo, illuminato a stento da stupefacenti allusioni alla bellezza perduta. Velly riporta alla luce idee antiche e strumenti di lavoro quasi dimenticati, la punta d’argento, il bulino che richiede una perizia da cesellatore, senza l’aiuto dell’acido che nell’acquaforte corrode il segno. Però le sue immagini non sono un ricalco del passato, anche se il passato si tramanda nelle visioni del presente. In mezzo a una foresta che sembra disegnata da Salvatore Rosa, spuntano masse di rifiuti da cui emergono rottami di automobili. In un paesaggio che sembra concepito da Monsù Desiderio nascono forme meccaniche per dolce metamorfosi delle pietre e delle piante. I volti hanno una staticità ipnotica, spettralmente evanescenti e ossessivi; guardandoli da vicino si scorge che l’effetto sfumato è composto dal suo contrario, da un pulviscolo di segni nitidi, forse tracciati con l’aiuto di una lente. La forza dell’arte di Velly scaturisce da una fatica illimitata e austera. Anche i fiori, che sono la più festosa epifania della natura, e che Velly ama ritrarre, non hanno niente della sontuosità esplosiva fissata per sempre nei capolavori di Bruegel o di Van Gogh”.


26 maggio.

Muore annegato nelle acque del lago di Bracciano.


Maria Lombardi scrive: ....“È molto profondo il punto in cui Jean-Pierre Velly è caduto dal catamarano, settanta metri circa. E i quattro sommozzatori di Roma, all’opera da sabato pomeriggio, non ce la fanno ad arrivare fin laggiù. Il fondo è melmoso e non si vede molto bene. Per tutta la mattina gli elicotteri hanno sorvolato la zona in cui è avvenuto l’incidente, ma invano. Stamane riprenderanno le ricerche; a dare man forte ai colleghi romani arriveranno sommozzatori del gruppo di Grosseto che dispongono di attrezzature sofisticate e sono in grado si scendere più a fondo (il lago tocca i 160 metri) . A scrutare le acque del lago stamane ci sara anche una telecamera sottomarina. I vigili del fuoco, in collaborazione con i carabinieri di Trevignano, sperano di rinvenire il disperso entro domani. In caso contrario, chiederanno aiuto ai pescatori del posto che utilizzeranno le reti a strascico. La tragica avventura di Jean-Pierre Velly è cominciata alle 17 di sabato pomeriggio. Era partito a bordo di un catamarano, in compagnia del figlio Arthur di 23 anni, dal molo di Trevignano. In due minuti l’imbarcazione era già lontana dalla riva. Cosa sia successo di preciso, ancora non si sa. Forse a causa di una manovra sbagliata, il pittore ha perso l’equilibrio ed è caduto nel lago. Non è stato ancora accertato chi conducesse il catamarano. L’imbarcazione si è allontanata dal punto in cui è accaduto l’incidente, ma il figlio con una manovra repentina è riuscito a tornare indietro. Arthur ha cercato il padre, lo ha chiamato più volte, ma inutilmente. Disperato, è tornato a riva con il catamarano e ha dato subito l’allarme. Alle 17.40 sono comminciate le ricerche: i vigili del fuoco di Bracciano, tre uomini del gruppo elicotteri di Roma e i sommozzatori hanno lavorato senza sosta fino a tarda sera. Sono state effettuate numerose immersioni, mentre a riva la gente seguiva con apprensione. Quando è calata la sera, le ricerche sono state sospese”.




                           

 

l’invito della Galerie Gloux

si ringraziano Catherine Velly, e il prof. Giuseppe Appella per la collaborazione

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leggere ed ascoltare l’intervista rilasciata da Velly per Radio Ipsa 
alla vigilia della mostraRadio_Ipsa_Roma_1980_ital.htmlRadio_Ipsa_Roma_1980_ital.htmlRadio_Ipsa_Roma_1980_ital.htmlshapeimage_3_link_0shapeimage_3_link_1
Gli acquerelli di Velly del
Agenda Olivetti 1986Agenda_Olivetti.htmlAgenda_Olivetti.htmlshapeimage_4_link_0

Franco Simongini: Velly: l’incisore tra sogno e incubo, in «Il Tempo», Roma, 29 maggio 1990.

Enzo Bilardello: In memoria di Jean-Pierre Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 16 giugno 1990.

Giorgio Soavi, La luce all’ombra della quercia, in «il Giornale nuovo», Milano, 30 maggio 1990.

Vito Apuleo, Incisioni piene di malinconia,  in «Il Messaggero», Roma, 28 maggio 1990.


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