Velly   Biografia : seconda parte 1970-79
 
 

1970


18 luglio. Dopo aver visitato, insieme a Domenico Petrocelli, Campagnano e Sacrofano, alla ricerca di una casa (la sua permanenza a Villa Medici è scaduta il 30 aprile ma sembra che ci rimarrà fino a giugno o luglio), sceglie Formello, il paesino situato sulle pendici dei Monti Sabatini, a meno di venti chilometri da Roma, che, come scriverà Jean Leymarie, impone la sua rude grandezza e una continuità millenaria”, e vi si trasferisce con la moglie e il figlio.


Le ragioni di questa scelta sono spiegate nel colloquio con Jean-Marie Drot:


J.M.D.Dopo il suo soggiorno alla Villa, Lei non rientra in Francia, decide di rimanere in Italia; si stabilisce con la famiglia a Formello, una piccola borgata etrusca a circa 25 chilometri da Roma. E là ancora oggi lavora. Lei tenta di organizzarsi non soltanto un esilio ma, se così posso dire, un trapianto.


J.P.V.- Ecco, le racconto: finiti i miei tre anni e quattro mesi a Villa Medici, chiesi a Rosa, mia moglie: “Si rientra a Parigi ?” (E quello che fanno normalmente i borsisti, no?) Io mi sono detto: “Parigi va benissimo, ma perché? Che cosa avrò a Parigi più di qua? I luoghi geografici più importanti sono i luoghi mentali. La geografia mentale, non è la geografia terrestre. In Italia, non ho avuto l’impressione di trovarmi in un paese straniero.


J.M.D.- Ha imparato la lingua?


J.P.V.- Ho imparato l’italiano quando ho lasciato la Villa; lo parlo sempre molto male ma respiravo un aria di libertà che era in me, mi sentivo bene e anche mia moglie. Dopo aver vissuto nella Villa, nel suo parco immenso, lunghi da noi l’idea di cercare un’abitazione nel cuore di Roma. Abbiamo cercato nelle vicinanze, un paesino, non molto lontano, accogliente come era allora Formello. Questo è banalmente semplice. Senza problema di patria, di Francia, d’Italia.


(Dialogue de Jean - Marie Drot avec Jean-Pierre Velly,  in «Villa Medici» - Journal de voyage, a. III, n.78, Edizioni Carte Segrete, Roma, dicembre 1989, p. 25).

(leggere l’intero dialogo)



“In una stanza del centro di Formello c’è lo studio di questo uomo di 40 anni, vestito con il giaccone dei marinai bretoni e gli zoccoli di legno, due grandi case di legno nelle quali entrano i suoi due piedi infilati nelle pantofole di panno perché fa freddo. Un’aria di gelo perenne quello che c’è in campagna e al quale la mia schiena di cittadino non è abituata che si annida subito nelle ossa per poi dilatarsi nella carne e spingersi nei vestiti. Fuori è primavera, i cani bianchi dormono al sole, i gatti non aprono neppure gli occhi. Nel suo studio due cartelli avvertono: qui dentro non si tocca niente. In una scatola di cartone c’è il rimasuglio fossile di un gattino morto con la bocca spalancata di chi ha miagolato o sbadigliato a lungo; sui tavoli relitti di insetti, di ossa, matite e temperini e finalmente i fiori che lui disegna. Sono quasi tutti piantati come chiodi nel muro, tra una pietra e l’altra e sporgono come ciuffi naturali. Nei vasetti le ortiche, le erbe dei campi, i fiori arancione che hanno dato la luce agli acquarelli fatti quest’anno. Posso affermare di aver visto la migrazione - emigrazione? - del pensiero tra i fiori e il loro pittore.


(cfr. Giorgio Soavi, Il quadro che mi manca, Garzanti, Milano, pp.84-85).


“Il teschio posa, sta in alto su un architrave: è tutto quanto resta, in una riduzione all’essenziale, di quello straordinario monumento alla fine del tempo e alla sua immobilità, unica vera, dopo la vita, che è lo studio di Jean-Pierre Velly a Formello. Ovunque, nel basso soffitto, pendenti da fili, oscillano bianche ossa di animali pazientemente raccolte, infinitamente levigate, pure forme e pure ossa. Lungo le pareti sono fissate ali di farfalle, di libellule putrescenti, carcasse di uccelli prosciugati, fra un indescrivibile caos di fogli, carte che hanno lo stesso peso o la stessa leggerezza delle ossa oscillanti e degli anima i stampati alla parete. In questo grandioso cimitero che, senza alcun ordine e armonia, senza alcun decorativo artificio, ricorda quello della Chiesa dei Cappuccini a Roma, Velly lavora isolando su un cavalletto il suo quadro, che sorge, intatto e vivo, dall’infinita catastrofe circostante: un purissimo vaso di fiori contro la valle, una immagine di vita fra tante di morte”.



(cfr. Vittorio Sgarbi, Velly oltre Velly ovvero la speranza del niente,

in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra,

Galleria Don Chisciotte, Roma, 1988).




“Dopo pochi passi svoltammo in un vicolo, salimmo una breve scala di pietra, entrammo in uno stanzone che sembrava piuttosto un sotterraneo, dove, per l’umidità, era quasi più freddo che fuori. Quello studio così poco confortevole somigliava a un’officina alchemica. Gusci di lumache, ramaglie avvizzite, crani levigati di uccelli e di bovini, pupazzi disarticolati come creature sul punto di essere richiamate alla vita, scaffali ingombri di oggetti scombinati, in attesa che l’occhio dell’artista li estraesse dal letargo. Un torchio, un bancone sul quale erano sparsi gli strumenti per l’incisione del metallo e l’intaglio del legno, lastre di rame ossidate, odore di polvere e di acido. Su un cavalletto stava prendendo forma un autoritratto a olio che signoreggiava sul disordine della stanza. La confusione e la tetraggine dell’ambiente assumevano all’improvviso un senso imperioso, come risucchiate negli occhi di quel personaggio ancora in parte evanescente, che sembrava Velly eppure si estraniava dal soggetto per un accentuata durezza.


(cfr. Fausto Gianfranceschi, La casa degli sposi,  Camunia, Milano, 1990, pp. 41-42).


Nella studio di Monte Madonna, arrivano spesso gli amici di Roma e vengono preparate le mostre di Grenchen e, in particolare, di Napoli dove Petrocelli ha vissuto per anni.


Grenchen, 2-31 dicembre,

Galerie Toni Brechbuhl, Jean-Pierre Velly.


Espone un gruppo di incisioni presentate in catalogo da Domenico Petrocelli



Napoli, 10 dicembre 1970-6 gennaio 1971,

Galleria d’Arte di San Carlo, Jean-Pierre Velly.

Espone, come da elenco in catalogo:

1.Paysage d’Ollioules

2.Escargots, 1964, bulino,

3.Pieds en croix, 1965, acquaforte,

4.Tube allongé 1965, acquaforte,

5.Sphère, 1965, acquaforte,

6.Chute, 1966, bulino,

7.Hommage à Bresdin,

8.La vieille, 1966, bulino, mm

9.La clef des songes, 1966, bulino,

10.Maternité

11.Maternité II, 1967, acquaforte e bulino,

12.Mascarade pour un rire jaune, 1967, acquaforte,

13.Triptyque-Valse lente pour l’Anaon, 1967, acquaforte e bulino,

14.Trinità dei Monti, 1968, acquaforte e bulino,

15.Maternité au chat, 1968, acquaforte e bulino

16.Rosa au soleil, 1968, acquaforte e bulino;

17.Eau de Cologne “ma joie”, 1968, acquaforte e bulino,

18.Tas d’ordures, 1968, acquaforte, bulino e puntasecca,

19.Senza rumore I, 1969, acquaforte, bulino e puntasecca,

20.Senza rumore II, 1969, acquaforte, bulino e puntasecca,

21.Rechute, 1969, acquaforte;

22.Portrait de Rosa, 1969, acquaforte,

23.Faux carnaval 1969, acquaforte,

24.Paysage aux autos, 1969, acquaforte, bulino e puntasecca;

25.La mer et le ciel, 1970, acquaforte;

26.Suzanne au bain, 1970, acquaforte, bulino e puntasecca,

27.Débris, 1970, bulino,

28.Métamorphose ll; 1970, bulino e acquaforte,

29.Métamorphose III, 1970, bulino e acquaforte,

30.Tête flottante, 1966, acquaforte, (ill., particolare).


Paolo Ricci scrive nel catalogo da lui curato, e su «l’Unità» del 3 gennaio 1971


La mostra che doveva, in un primo momento, essere ospitata dalla Galleria “Il Centro”, viene visitata dagli amici napoletani già conosciuti a Roma insieme a Petrocelli.


1971


Roma, 4 gennaio.

Virgilio Guzzi, presentatogli da Petrocelli a Villa Medici, gli dedica una segnalazione su “Il Tempo” di Roma definendolo Un incisore raro. Scrive, tra l’altro:


“Il suo caos è una immagine dove l’universo fisico si contamina col mondo della inventiva meccanica. Dall’urto può derivare una lotta disperata ed assurda, quasi un incubo; e può risultare un accumulo immane di rottami, di detriti: un effetto di demoniaco. Hai alternatamente la liberazione (umanistica) e la disfatta e corruzione. Un simbolista il Velly, dalla realtà in continua gestazione, significativa. …Ciò che conta è il modo come la sapienza si trasforma in arte. Quella tensione nello spazio ingombro ed aperto d’ogni minima forma (congegno, albero, nube, roccia, nudo); quel tumulto di cose accertate che si fa inquietante apparizione; quel turgore di plasticità che si moltiplica all’infinito senza sottrarsi al fenomeno luminoso.”



Formello, 27 febbraio.


Su sollecitazione di Domenico Petrocelli, da tempo frequentatore della Galleria Don Chisciotte in via Angelo Brunetti 21a, visita il suo studio Giuliano de Marsanich che rimane vivamente impressionato del suo lavoro, già ammirato sul catalogo della mostra di Milano. Gli organizza in pochissimi giorni la prima personale romana.


Ho avuto la fortuna di incontrare un mecenate (anche se a lui non piace questo termine), un “gallerista” romano nel senso vero che ama il proprio lavoro e che mi ha dato le possibilità di vivere in pace.




(cfr. Dialogue de Jean-Marie Drot avec Jean-Pierre Velly, in «Villa Medici» - Journal de voyage, a. III, n. 78, Edizioni Carte Segrete, Roma, dicembre 1989, p.25).   (leggere lintero dialogo)



« Da l’inizio della sua permanenza in Italia, egli riceve gli incoraggiamenti e l’appoggio di una galleria romana, il cui proprietario, diventato amico, si appassiona al suo lavoro, ne mostra periodicamente i risultati” .


(cfr. Jean Leymarie, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra,

Grand Palais, Parigi, Edizioni Galleria Don Chisciotte, Roma, 1982).


Roma, 15-31 marzo,

Galleria Don Chisciotte, Jean-Pierre Velly.

Espone, come da elenco in catalogo:


1. Tour tuyau, 1965, acquaforte;

2. Maltempo, 1965, acquaforte,

3. Paesaggio d’Ollioules, 1965, acquaforte;

4. Sfera, 1965, acquaforte;

5. Piedi crocefissi, 1965, acquaforte, (ill.);

6. Caduta, 1965, bulino;

7. Escargots, 1965, bulino;

8. La Vecchia, 1966, bulino;

9. La Chiave dei sogni, 1966, bulino, (ill.);

10. Testa fluttuante, 1966;

11. Maternità, 1967, bulino,

12. Maternità, 1967, acquaforte

13. Mascherata per un riso verde, 1967, acquaforte,

14. Prova trittico, acquaforte;

15. Trittico, Valse lente pour l’Anaon, 1967, acquaforte e bulino,

16. Maternità con gatto, 1968, acquaforte e bulino,

17. Rosa al sole, 1968, acquaforte e bulino,

18. Ritratto di Rosa, 1968, acquaforte, (ill.);

19. Acqua di Colonia Ma joie, 1968, acquaforte, bulino e puntasecca;

20. Trinità dei Monti, 1969, acquaforte e bulino,

21. Falso carnevale, 1969, acquaforte;

22. Montagna di immondizie, 1969, acquaforte, bulino e puntasecca, (ill.);

23. Senza rumore, 1969, acquaforte, bulino e puntasecca, (ill.);

24. Paesaggio con macchine, 1969, acquaforte;

25. Susanna al bagno, 1970, acquaforte;

26. II cielo e il mare, 1970, acquaforte;

27. Piccolo teschio, 1970, acquaforte e punta secca,

28. Relitti, 1970, bulino;

29. Metamorfosi I, 1970, acquaforte e bulino,

30. Metamorfosi II, 1970, acquaforte e bulino, (ill.);

31. Metamorfosi III, 1970, acquaforte e bulino, (ill.);

32. Metamorfosi IV, 1970, bulino, (ill.);

33. Escargots II, 1971, bulino,

34. Notturno, 1971, bulino

35. Occhi e tubi, 1965, acquaforte, (ill.);

36. In fondo alla scala, 1967, acquaforte, (ill.).


Recensisce la mostra Virgilio Guzzi   e Dario Micacchi:

“Velly è un grande malinconico e alla malinconia dà la durezza del minerale, la esattezza del solido geometrico. Riesce a equilibrare la tensione vitale e tragica nell’immagine come fosse un tessuto.”


(cfr. Dario Micacchi, L’apocalisse secondo Velly, in “l’Unità”. Roma, 25 marzo 1971).


E Dino Morosini:


“Velly è tutto meno che un facitore di «falso antico». Gli si possono fare, se mai, radicali obiezioni di natura ideologica, ma dando sempre per scontata la sua prerogativa di rivivere davvero il passato: con fervidissima intelligenza e ad un alto grado di emotività.


Velly è un visionario, che coinvolge tutta la propria cultura nella tensione ideale (e psichica) da cui è posseduto. Prendete, per esempio, un’acquaforte come quella che egli chiama Paesaggio con macchine. Ebbene, ecco delle «macchine» (carrozzerie contorte, divelte, schiacciate di vetture od autobus) che dovrete andare a cercare colla lente di ingrandimento nell’anfratto nel quale l’autore le ha precipitate.


Carcasse di ferro come sparse ossa (cimitero di «elefanti», non di automobili) da scoprire pezzo per pezzo nel contesto di una natura che le sovrasta, le disperde, le divora. Quello di una vallata, piuttosto «infernale», vista a perdita d’occhio, ma esplorata tuttavia da uno sguardo e da una mente, che, ben lungi dall’arrendersi all’inafferrabile, appaiono mossi dall’assillante, ossessiva ricerca del detta ho: bosco, sottobosco, tronco, ramo, foglia, virgulto.


Certo, il fatto che un simile contesto, quel mucchio di macchine distrutte diventi una metafora della fine di ogni cosa, della materia che ritorna alla materia, va dato per scontato, in Velly. Come va data per scontata la stretta parentela di quel formicolio di dettagli con gli assilli, ottici e mentali, leggibili nelle foreste fantastiche di un Seghers, o meglio, di un Bresdin (si pensi alla Commedia della morte, per esempio, con quel vegliardo seduto fra tibie e teschi sparsi nell’erba, sotto un albero che nasconde scheletri dietro ogni ramo).


Ma è proprio per questo, per l’autenticità dell’emozione che coinvolge il tutto, che è vano, anzi deleterio, cantare le lodi della tecnica, in un simile caso. Su questo punto non ci son dubbi, direi. Essi investono, se mai, i pensieri «neo-medioevali» che soggiaciono alla visione (ed alle scelte di cultura) . La eternità che cancella il valore delle conquiste dell’uomo, il richiamo alla vanità delle opere, il «memento mori», insomma (così appare ricondotta, qui, la natura stessa, quale «specchio» della frattura tra energia e destino). Insomma, l’alterazione della dialettica tra storia e natura; alla luce di una concezione escatologica del mondo, male adattabile ai problemi di un giovane d’oggi. Tant’è vero che, su questo punto, anche l’autore mostra, talora, di nutrire i suoi bravi dubbi. Penso a certe sue incisioni del ‘65, quali Sfera, Caduta, Occhi e tubi. Dove esperienze e memorie tendono a portare in primo piano il tenia dell’odierno conflitto fra tecnica e natura, da affrontare con animo interrogativo e non apocalittico (e dove, non per caso, la stessa «stratificazione degli stili» coinvolge fenomeni linguistici storicamente più vicini alla nostra realtà).


(cfr. D. M. Dino Morosini, Velly: la morte e il diavolo,

in «Paese sera», Roma, 1 aprile).


E Antonio Del Guercio:


“Velly accumula ossessivamente nell’immagine un brulichio denso di figure e cose, a un tal punto di perfezione tecnico illusoria da farla, almeno a un primo momento, respingere come immagine divorata dalla sapienza stessa del fare. Ma, in verità, si tratta di ben altro; e cioè della capacità di Velly di rivisitare le proprie fonti storiche, e soprattutto la linea michelangiolesca (e il neo-michelangiolismo degli inglesi del Settecento, Fussli in specie) al lume freddo d’una strana pietrificazione di cose e forme; una pietrificazione che viene da certo surrealismo e che Velly traduce in immagine concreta attraverso l’idea ossessiva (di origine, appunto, surrealistica) dell’ammassarsi fittissimo dei detriti. Idea che un’opera ad esempio come Montagna d’immondizie presenta direttamente, ma che in realtà è presente anche laddove (Metamorfosi II ad esempio) iconograficamente si tratta di altre cose. Voglio dire che i corpi e gli oggetti ch’egli assume e affolla nell’immagine sono essenzialmente corpi morti e cose morte; o quanto meno corpi e cose che hanno cessato di stare in relazione dinamica con gli altri corpi e le altre cose. Velly narra la storia ferma, o fermata, d’un pianeta freddo, senza movimento, e senza rumori; un pianeta entropico. E allora quella sapienza prestigiosa di mestiere riprende il suo senso vero di precisione forsennata nel dire questa non-storia nella chiave d’un referto tracciato da un testimone implacabile”.


(cfr. Antonio Del Guercio, Pittura e dolore, in “Rinascita”,

28, 14, Roma, 2 aprile 1971, p 23).


E Lorenza Trucchi:


“Mondo di gusto sostanzialmente simbolista ma rivisto con spirito nuovo, attento alle accumulazioni, agli assemblages, persino alle contaminazioni oggettuali della pop si veda, ad esemplo, come Velly trasformi le foreste Düreriane, così gremite di simboli teologici e metafisici, in coacervi di oggetti e rifiuti e, persino, in depositi di immondizie. Un visionario dei nostri giorni, apocalittico ma senza frenesie idealizzatrici”


(cfr. Lorenza Trucchi, Velly alla “Don Chisciotte”, in “Momento-Sera”, Roma, 2 aprile 1971).


E Sandra Orienti:


“Velly è un grafico prestigioso, di una bravura e di una esperienza così affinata che rischiano di perderlo; perché entro questo mezzo scaltrito e acrobatico si rifondono agevolmente non soltanto tutto il repertorio immaginativo surreale, ma anche efflorescenze manieriste e puntigli nordici. Intorno ad ogni elemento di cui s’appropria, Velly riesce a comporre, per una sorta di germinazione lenticolare, un fittissimo armamentario di immagini, con un nervosismo allucinato che sembra finalmente un po’ allentarsi nell’esplorazione della figura”.


(cfr. Sandra Orienti, Il montaggio quasi arte, in “Il Popolo”, Roma, 13 aprile 1971).


Torino, 15-31 dicembre,

Galleria d’arte Davico, Jean-Pierre Velly


Espone, come da elenco in catalogo:   (vedere tutte le incisioni qui)


1. Falso carnevale, 1969, acquaforte

2. Tour tuyau, 1965, acquaforte

3. Occhi e tubi, 1965, acquaforte

4. In fondo alla scala, 1967, acquaforte

5. Testa fluttuante, 1966, acquaforte

6. Relitti, 1970, acquaforte

7. Mascherata per un riso giallo, 1967, acquaforte

8. Piccolo teschio, 1970. acquaforte

9. Maternità I, 1967, acquaforte

10. Maternità II, 1967, acquaforte

11. Acqua di colonia Ma Joie, 1968, acquaforte, (ill.)

12. Montagna di immondizie, 1969, acquaforte, (ill., particolare)

13. Notturno, 1971, acquaforte,

14. Senza rumore, 1969, acquaforte;

15. Ritratto di Rosa, 1968, acquaforte, (ill.);

16. Paesaggio di Ollioules, 1965, acquaforte,

17. Escargots, 1965, acquaforte;

18. Maltempo, 1965, acquaforte;

19. Metamorfosi I, 1970, acquaforte;

20. Metamorfosi II, 1970, acquaforte;

21. Metamorfosi IV 1970, acquaforte

22. Piedi crocefissi, 1965, acquaforte;

23. La vecchia, 1966, acquaforte,

24. Trittico, 1967, acquaforte, cm (ill.);

25. Rosa al sole, 1968, acquaforte,

26. Paesaggio con macchine, 1969, acquaforte,

27. Susanna al bagno, 1970, acquaforte,

28. Il cielo e il mare, 1970, acquaforte;

29. Metamorfosi III, 1970, acquaforte, (ill.);

30. Massacro degli innocenti, 1971, acquaforte,

31. Senza rumore II, 1969, acquaforte, (ill.).



Angelo Dragone scrive:


“Velly ama la contaminazione figurale, mescolando continuamente ad una visione che ha spesso una classicheggiante impostazione i più tipici elementi surreali venati ora da una carica erotica ora di simbolismo, tra mitiche presenze e magiche evocazioni. Il segno ci sembra discendere da quello di Ensor, ma ha poi il piglio narrativo di certe gremite pagine di Callot; e se talora sembra ispirarsi a certe tornite beltà Düreriane, egli non è però mai del tutto immemore di maestri come Redon e Rops anche se da Metamorfosi alla Montagna di immondizie, dal Trittico ad Acqua di Colonia Ma Joie); il sentimento, tutto suo, si fa interprete impegnato d’una temperie di cui non si stenta a cogliere l’attualità.


Originale è l’interpretazione della forma, in una grafia sottile, di rara efficacia, che gli consente di fissare con la stessa limpidezza certi particolari chiamati in primo piano, e le cose più minute e distanti, giocando sui diversi interventi tecnici: stabilendo i contorni con l’acquaforte, per riprendere poi la figurazione con la robustezza del bulino o con una più lieve traccia della puntasecca”.


(cfr. A. D. [Angelo Dragone] La poesia incisa,

Jean-Pierre Velly alla Subalpina, in «Stampa Sera», Torino, 5 gennaio 1971).


La mostra, in seguito, viene trasferita a La Chiocciola di Padova.



1972



Berna, gennaio-febbraio

Galerie Schindler, Jean-Pierre VellyPresentazione di Karl Buhlman

Espone, come da elenco in catalogo:     (vedere tutte le incisioni qui)



1.Métamorphose III, radierung-kupferstich, (ill.);

2.Petit Paysage d’ollioules, radierung,

3.La sphère

4.Débris, kupferstich,

5.Petite famille, radierung,

6.Nocturne, mezzotinte-kupferstich,

7.Petit crane, radierung,

8.Tour tuyau, radierung,

9.Arbre et sphère, radierung,

10.Intérieur de caverne chute, radierung,

11.Etude de mains, radierung, cm 15x20;

12.Faux carnaval, radierung, cm 1 5x19,5;

13.Tête flottante, radierung-kupferstich,

14.Maternité, radierung-kupferstich,

15.Paysage romain, radierung,

16.Gouffre vue intérieure, radierung,

17.Maternité, kupferstich,

18.Portrait de Rosa, radierung,

19.Métamorphose aux draps, kupferstich

20.Yeux, radierung,

21.Bébé vieillard, kupferstich,

22.Rechute, radierung,

23.Esquisse triptyque, radierung,

24.La Vieille, kupferstich,

25.Mascarade pour un rire jaune, radierung-kupferstich,

26.Tuyau allongé, radierung

27.Eau de cologne ma joie, radierung-kupferstich, (ill.)

28.Rosa au soleil, radierung-kupferstich, (ill.)

29.Paysage aux autos, radierung, (ill.)

30.Tas d’ordures, radierung-kupfestich, (ill.)

31.Triptyque: Valse lente pour l’Anaon, radierung-kupferstich, (ill.)

32.Senza rumore 1, radierung-kupferstich

33.Senza rumore 2, radierung-kupferstich

34.Tuyau vertical radierung,

35.Etude de pieds, radierung,

36.Métamorphose II, radierung-kupferstich (ill.);

37.Métamorphose I, radierung-kupferstich, (ill.)

38.Suzanne au bain, radierung-kupferstich, (ill.)

39.Le ciel et la mer, radierung

40.Le massacre des innocents, radierung-kupferstich, (ill.)

41.Le bas de l’échelle, radierung

42.Etude: escargot, kupferstich

43.Paysage-plante, radierung-kupferstich

    44.Ville, radierung,

45.Vase de fleur, radierung

46.La clef des songes, kupferstich





Modena, gennaio-febbraio,

Galleria Wiligelmo, Incisioni di Velly


Le opere esposte sono tra quelle già presenti nella mostra di Roma e di Torino.


Su «Modena Flash» leggiamo:


“L’alto livello delle opere è dato da una capacità disegnativa insolita per i giorni nostri, che ricorda i grandi incisori del passato, unita a una visione surreale del mondo moderno. Le composizioni caotiche, sono certamente ispirate ai classici ma rendono in un modo perfetto l’idea della insicurezza e confusione attuale. Un mondo in fermento, fatto di angosce e di paura sembra scaturire dalla mano e dalla mente dell’artista, quasi una premessa al caos finale”.


(cfr. E.D., Incisioni di Velly, in «Modena Flash», Modena, 27 febbraio 1972).


Roma, 29 maggio- 17 giugno,

Galleria Don Chisciotte, Jean-Pierre Velly.

Espone, come da elenco in catalogo, i seguenti disegni


1. Uomo, donna e fanciulla, punta d’argento, 1972 (ill.);

2. Ritratto di bambino n. 1, punta d’argento, 1972 (ill.);

3. Ritratto di bambino n. 2, punta d’argento, 1972;

4. Ritratto di bambino n. 3, punta d’argento, 1972 (ill.);

5. Uomo n. 1, punta d’argento, 1972 (ill.);

6. Uomo n . 2, punta d’argento, 1972 (ill.);

7. Giovane donna, punta d’argento, 1972 (ill.);

8. Tre giovani donne, punta d’argento, 1972 (ill.);

9. Giovane ragazza n. 1, punta d’argento, 1972 (ill.);

10. Giovane ragazza n. 2, punta d’argento, 1972 (ill.);

11. Testa, punta d’argento, 1972 (ill.);

12. Nello studio, punta d’argento, 1972 (ill.);

13. Ritratto di bambino n. 4, punta d’argento, 1972 (ill.);

14. Paesaggio, punta d argento, 1972 (ill.);

15. Vecchia donna n. 1, punta d’argento, 1972;

16. Ritratto di donna, punta d’argento, 1972 (ill.);

17. Fanciulla, punta d’argento, 1972;

18. Tre fanciulle, punta d’argento, 1972;

19. Vecchia donna, punta d’argento, 1972 (ill.);

20. Vecchia n.1, punta d’argento, 1972;

21. Vecchia n. 2, punta d’argento, 1972;

22. Due donne, punta d’argento, 1972;

23. Pensionato, punta d’argento, 1972.



Claudia Terenzi scrive:


“Due anni fa la Galleria Don Chisciotte, la stessa che oggi espone i suoi disegni, presentò le incisioni dell’artista, giovanissimo, per la prima volta a Roma, e fu subito evidente come Velly avesse sviluppato fino ad imprevedibili conseguenze e tecniche classiche dell’incisione, bulino, puntasecca, acquaforte, mescolando questi tre metodi per arrivare a risultati estremamente abili. Le incisioni erano in uno stile antico, quasi per la volontà di verificare la propria capacità di disegno sulla universalità di espressione e di contenuto che si ritrova nel linguaggio e nell’idea dell’arte «antica». I suoi soggetti quasi classici riguardavano nudi, paesaggi e teste: nell’attuale mostra il lavoro di Jean-Pierre Velly rappresenta un passo avanti sia nell’impostazione della tecnica, che attraverso la pratica e la continua ricerca progressivamente si perfeziona sia nella scelta e nella impostazione dei temi, che, superata la fase e la verifica accademica (ma accademica come indifferenza e pretestuosità del contenuto), sviluppano una maggiore espressività rivelando ormai più precise intenzioni di indagine sui soggetti stessi e quindi una ricerca di valori contenutistici. I ritratti di donna, di bambine e di vecchie diventano fortemente espressionistici, e ne deriva perciò una caratterizzazione dei tratti umani, del sentimento che si esprime nel viso, nelle situazioni rappresentate, nella individuazione di un pathos oramai preciso. I disegni sono tutti realizzati con la matita a punta d’argento, vago ricordo, forse, dell’incisione”.


(cfr. Claudia Terenzi, La matita d’argento di J.-Pierre Velly,

in «Paese Sera», Roma, 10 giugno 1972).


1973


Cremona, 27 gennaio - 18 febbraio,

Galleria Botti, Jean-Pierre Velly.

La mostra è in collaborazione con la Galleria Transart di Milano.

Espone una scelta di acqueforti e bulini.


Elda Fezzi scrive:


“Al primo incontro con queste pagine elaborate con tanta maestria, si esclamerebbe che esse abbiano tutti i numeri necessari per fare invidia ad un antico maestro del bulino e dell’acquaforte. E a questa illusione - che sembra voluta proprio per far cascare nella trappola il visore superficiale - conduce in realtà anche il canovaccio più vistoso, o, meglio, la struttura compositiva delle incisioni di Velly. Evocano vastità di paesaggi seicenteschi, monumenti manieristici e barocchi, o le gremite visioni romantiche di singolari artisti europei (a Rodolphe Bresdin, l’autore francese dell’800 che ha influenzato il simbolismo e Redon, Velly ha dedicato alcune sue acqueforti). Ma se si osservano con occhio più attento le fitte muraglie di ruderi e di rocce, le ampie e lussureggianti foreste e pianure, ciò che appariva un nostalgico sogno di alchimie incisorie alla Dürer, si presenta ricolmo di una materia che incancrenisce per il peso di organismi e di ferraglie che invadono ogni luogo.


Tutto allora si anima … di una crudissima malattia della natura e della terra. Ogni incisione - apparentemente memore di uno scenario di corte barocca - è un cumulo eterogeneo di residui umani disfatti e ormai inutili, sotto i cieli torbidi di nubi velenose.

… Velly ha una lucidità inconfondibile nella sostituzione quasi subdola degli elementi visivi”.


(cfr. E.F. [E. Fezzi] , Velly alla “Botti”,

in «La Provincia», Cremona, 4 febbraio 1973).


Quimper, 4-30 aprile,

Galleria Fouillen, Jean-Pierre Velly.


La mostra accoglie un gruppo di incisioni dal 1964 ad oggi, tra le quali, come si ricava da «Le Télégramme» di Quimper, il giorno dopo l’inaugurazione, Escargots del 1964, Vieille Femme del 1966.


1974


Roma, 21 maggio-20 giugno,

Galleria Don Chisciotte,

Jean-Pierre Velly



Espone, come da elenco in catalogo:


1. Donna sdraiata, 1969, bulino;

2. Chi sa, 1973, acquaforte e bulino;

3. Albero, 1966, mm 180 x130, 6 P. d’.A., nessuna tiratura, puntasecca;

4. Grande paesaggio orizzontale, 1965, acquaforte;

5. Grande paesaggio verticale, 1965, , acquaforte;

6. Ollioules, 1964, acquaforte;

7. Piccolo paesaggio di Ollioules, 1965, acquaforte;

8. All’interno della voragine, 1967, acquaforte e bulino;

9. Albero e sfera, 1967, acquaforte;

10. Vaso di fiori, 1971, acquaforte e bulino, (ill.);

11. Occhi e tubi, 1965, , acquaforte;

12. Torre e tubi, 1965, acquaforte;

13. Illustrazione per una legenda, 1965, bulino;

14. Schizzo trittico, 1967, acquaforte;

15. Trittico valser lento per l’Anaon, 1967, mm

16. Mano crocifissa, 1964, , acquaforte (ill.);

17. Ricaduta, 1968, , acquaforte (ill.);

18. Piccola famiglia,acquaforte (ill.);

19. Cielo stellato, 1972, acquatinta e acquaforte;

20. Città distrutta, 1971, acquaforte e bulino;

21. Notturno, 1971, acquaforte e bulino;

22. Lumaca e conta filo, 1971, bulino (ill.);

23. Infine, 1974, acquaforte e bulino;

24. Strage degli innocenti, 1971, acquaforte e bulino (ill.);

25. Piante, 1971, acquaforte e bulino;

26. Paesaggio con le macchine, 1969, acquaforte e bulino;

27. Metamorfosi 1, 1970, acquaforte e bulino (ill.);

28. Metamorfosi 2, 1970, acquaforte e bulino (ill.);

29. Metamorfosi 3, 1970, acquaforte e bulino (ill.);

30. Rosa al sole, 1968, acquaforte e bulino;

31. La vecchia, 1966, bulino (ill.);

32. Uomo che cade, 1965, bulino;

33. Susanna al bagno, 1970, acquaforte e puntasecca (ill.);

34. Maternità con il gatto, acquaforte e bulino (ill.);

35. Fasce e Sindone, 1974, acquaforte e bulino.


Il catalogo, stampato in 1000 esemplari, è arricchito, nelle prime 120 copie, da un incisione originale Arbre et coquillage, acquaforte e bulino, Bodart 76 firmata dall’artista e numerata da 1 a 100 in numeri arabi e da I a XX in numeri romani. La lastra, dopo la tiratura, viene biffata.


E Bruno Morini:


“L’attuale raccolta, composta nella gran parte di fogli recenti, ci rivela ora nella sua interezza la visione di questo incisore di razza, del quale pone in piena luce la forte personalità e le eccezionali risorse, che, per evidenti in tutte le trentacinque opere esposte, spiccano particolarmente nelle stupende acqueforti a grande orchestra, quali per citarne solo alcune «La strage degli innocenti», le quattro «Metamorfosi», «Susanna al bagno» e «Città distrutta», opere che immediatamente inducono a pensare ai grandi incisori europei del Quattrocento e del Cinquecento ( Dürer in testa), e non soltanto per la prestigiosa classicità della tecnica, ma anche per l’ampiezza del respiro e la spettacolare imponenza della rappresentazione.


A tali contesti grafici di sapore genuinamente antico, Velly affida la propria visione del mondo d’oggi, di questo mondo che un apocalisse ecologica (e spirituale) minaccia di sommergere in un solo immenso cumulo di rifiuti (nel significato reale e metaforico del termine) ... Ma nel rappresentarne gli aspetti anche più angosciosi e terrificanti, l’artista non sa rinunciare a un suo classico, ancestrale concetto di bellezza; l’angoscia e il Dürer dell’uomo, il suo disfacimento psichico, e quello della natura, egli li trasferisce, vincolati a tale concetto, nel segno, nelle immagini, nelle sue impressionanti scene di moltitudini nude, da girone dantesco, da Valle di Giosafat, trascendendo ogni crudezza, ogni repellenza grafica; le montagne di immondizie, le frane di oggetti sconquassati, di rottami, tubi, ruote, gusci, scorze, nobilitanti dall’antica sapienza d’un finissimo chiaroscuro, d’una impeccabile armonia compositiva, assumono aspetti d’ordine squisitamente paesistico, così come i grandi nudi muliebri che si alternano ai mucchi dei rifiuti e dei brandelli o con essi franano e vorticano assieme a teste umane e frammenti di corpi esprimono la composta nobiltà di statue rinascimentali, d’antichi ruderi marmorei.


Continuo è, in queste incisioni, il richiamo a un ideale estetico fuori del tempo, che l’artista ha, che tutti abbiamo nel sangue, e costante è l’intendimento di adeguarvi l’immagine d’una realtà che al tempo è inesorabilmente legata. Velly riesce a realizzare in modo mirabile tale arduo intendimento, senza dissacrare quell’ideale e senza misconoscere questa realtà”.


(cfr Bruno Morini, Jean-Pierre Velly,

in «Il Giornale d’Italia», Roma, 18- 19 giugno 1974)


E Gino Visentini:


“Per Jean-Pierre Velly l’arte non è il risultato ultimo di un opera, ma il «farsi» dell’opera stessa, al quale viene dato tutto il tempo e tutto l’impegno possibile. E chiaro che l’artista tiene d’occhio la grande tradizione rinascimentale degli incisori nordici…Velly considera a tecnica di quella tradizione come il culmine dell’arte dell’incisione, dopo di che qualsiasi tentativo di cambiamento non è che discesa verso un’arte meno perfetta’.


(cfr. Gino Visentini, Jean-Pierre Velly,

in “Il Messaggero”, Roma, 24 giugno 1974).


Berna, dicembre.

La Galerie Schindler presenta nello “Stock Catalogue 1974”,

oltre al depliant della mostra tenuta nel 1972, le seguenti opere:


1.3723. Débris, sFr.300;

2.3724. Tuyau allongé; sFr. 550;

3.3725. Mascarade pour un rire jaune, sUr. 700;

4.3726. Tas d’ordures, sFr. 800;

5.3727. Maternité I, sFr. 400;

6.3728. Maternité II, sFr. 300;

7.3729. Tête flottante, sFr. 380;

8.3730. Le bas de l’échelle, sFr. 300;

9.3731. Arbre et sphère, sfr. 380;

10.3732. Petite famille, sFr. 300;

11.3733. Rechute, sFr. 380;

12.3734. Le ciel et la mer, sFr. 800.



1975




Milano, 26 febbraio-26 marzo,

Galleria Transart,

Jean-Pierre Velly: Incisioni e disegni 1969-1975.


Espone 7 disegni a punta d’argento realizzati tra il 1968 ed il 1974;

1 primo stato acquerellato a mano;

22 incisioni realizzate a bulino, mezzatinta e puntasecca, create tra il 1969 ed il 1974.


Scrive Vanni Scheiwiller:

“Arte come tecnè: Velly con la tecnica e la magia dell’incisione, ricrea un suo mondo, delle sue prospettive, un suo spazio onirico. Per esempio, La strage degli innocenti potrà sembrare fuori tempo ma ben dentro nel suo tempo ciò che riesce a evocare: dai campi di sterminio nazisti ai massacri nel Vietnam, in Africa, nel Sud America, ovunque avvengano le «mutili» stragi”.


(cfr. Vanni Scheiwiller, Le mostre. Jean-Pierre Velly,

in «il Settimanale», a II, n. 13, Roma, 29 marzo, p.92).


E Mikios N. Varga:


“Incisore puro, particolarmente versatile all’impiego del bulino, Velly può essere ritenuto il più moderno degli antichi, nel senso che le sue frequenti rivisitazioni (es. Dürer, Cranach, Bosch, Bruegel, Altdorfer, Marcantonio Raimondi, Seghers, Callot, Bresdin, etc.) ne riqualificano l’operatività extratemporale attraverso lo spazio onirico-surreale delle proprie attitudini visionarie, del tutto sradicate dal terreno delle comuni riappropriazioni (es. i d’après) immaginative. A questo proposito, Waldemar George ha scritto alcuni anni fa: “Velly elabora uno spazio onirico che si allontana dalla norma. L’estensione è trattata da questo incisore il cui “doppio” è un taumaturgo, come una materia duttile. Le regole di un’arte classica, presunta intangibile, sono violate o almeno trasgredite. Una realtà adeguata ai principi che reggono il meccanismo dell’occhio fa posto, in questi miraggi che sono le strane tavole di Jean-Pierre Velly ad una prospettiva che ha la qualità della molteplicità. Ogni elemento di una composizione ha una prospettiva propria e questa pluralità di punti focali permette all’artista, questo sognatore dagli occhi ben aperti, di tradurre l’invisibile al di là del visibile. Jean-Pierre Velly sembra sfidare le leggi della natura. Le forme vegetali e quelle meccaniche, le forme antropomorfe e quelle minerali si affrontano e si aggrovigliano, si incrociano e si confondono. In questo impero bizzarro costruito con ogni sorta di elementi, rocce di uno stile geometrico si mutano in teste mostruose. Brandelli raggruppati in maniera arbitraria assumono l’aspetto di macchine infernali o di macchine volanti. Esseri umani, che sono scorticati, corpi rosi dai vermi, antichi marmi le cui interiora sono fatte di ingranaggi di cordami di tubi di bielle e di pulegge, e dee della fecondità, simboli della terra-madre, animano un regno sorto dallo spirito chimerico di un poeta. Le immagini di Velly e il loro ordito plastico non possono essere dissociati. Esse concorrono ad un effetto d’assieme e marchiano così l’unità interiore di un’opera che sfugge alla misura comune”.


Infatti, nel microcosmo di Velly, la compresenza di elementi apparentemente eterogenei determina una “unità che si sottrae a qualsiasi “misura comune”, in quanto è l’insieme delle cose (verificabili alla lente d’ingrandimento) a costituire una pluralità di “punti di vista” coagulantisi fra loro fino a evidenziare una rappresentazione armonica del molteplice nell’uno. Certo, nel regno di Velly vengono compendiati i tre grandi regni della natura (animale, vegetale, minerale), dipendenti per associazione metamorfica, con effetti di spaesamento visivo e di conflittualità concettuale; ma tutto ciò rientra nella dimensione surreale”, non razionabizzabile a priori, che presiede al processo di trasformazione della materia vivente”.


(cfr. Mikios N. Varga, Jean-Pierre Velly,  Galleria Transart - Milano, in «GIa International» a. XII, n. 7 1 , Milano, aprile, pp.65-66).


Amsterdam, 5 maggio-5 giugno,

Galleria Forni, Jean-Pierre Velly

Espone un gruppo di incisioni.



1976



Ginevra, 16 agosto-22 settembre, Galerie Bernard Letu,

Quatre Graveurs français du fantastique.

Espone, insieme a Desmazières, Doaré e Mohlitz, Le Massacre des Innocents.


Parigi, ottobre, Galerie Les Grands Augustins,

Jean-Pierre Velly.

Espone un gruppo di incisioni degli ultimi anni.


Roma, ottobre-novembre, Galleria Don Chisciotte,

Incisori visionari di Parigi.

Partecipa con le incisioni:

1.Plantes, 1971, acq. bulino (ill.);

2.Qui sait, 1973, acq. bulino, (ill.);

3.Enfin, 1974, acq. bulino, (ill.);

4.N’amassez pas les trésors, 1974, acq. bulino, (ill.);

5.Lange et linceul 1974, acq. bulino, (ill.).


Gli altri incisori invitati sono Jean Martin-Bontoux, Erik Desmazières, Yves Doaré, Jacques Houplain, Jacques Le Maréchal, Georges Rubel.


La mostra è presentata in catalogo da Michel Random:


“In Jean-Pierre Velly la visione si installa nel tempo presente. Il divenire consiste per lui nel portare la nostra epoca alle sue estreme conseguenze. Così egli sviluppa l’immagine di un pianeta soffocato dai suoi detriti. E questi detriti Velly li ama al punto da inciderli a migliaia come granelli di polvere infernale, che, dopo aver invaso la terra turbinano in uno spazio allucinato fino a velare il sole. E vero che la grandezza maestosa dell’albero è là, che l’immensa nube bianca scivola in un cielo immutabile. Ma orde umane invadono tutti gli orizzonti e fuggono senza sapere dove. Del resto a che serve fare o non fare, fuggire o non fuggire. Gli esseri umani si sono essi stessi cambiati in detriti, vivi e morti, divenuti a loro volta oggetti.”


Parigi, 9-31 dicembre, Galerie L’Oeuf du Beau Bourg,

Jean-Pierre Velly.

Espone, come da elenco in catalogo:

1.Coquillage;

2.Ville détruite;

3.Lange et linceul;

4.Vase de fleurs;

5.Valse lente pour l’anaon (ill., particolare);

6.N’amassez pas les trésors;

7.Massacre des innocents;

8.Mascarade pour un rire jaune;

9.Paysage aux autos;

10.Enfin;

11.Senza rumore I;

12.Maternité au chat.

13.Chute;

14.Métamorphose IV,.

15.La vieille,

16.Escargot et compte-fil, collection particulière;

17.Maternité II, collection particulière ;

18.Elle se nomme la clef des songes, collection particulière.

    19.Main crucifiée;

20.Faux carnaval;

    21.Rechute;

22.Pieds crucifiés;

23.Petit portrait de Rosa;

24.Maternité I, collection particulière.

25.Métamorphose I;

26.Métamorphose  II;

27.Suzanne au bain;

28.Métamorphose III;

29.Eau de Cologne, ma joie;

30.Petit Crane

31.Paysage romain.

32.Nocturne.


vedere il volantino


In catalogo una presentazione di Bernard Noël:


“Si une image de Jean-Pierre Velly appelle nos yeux à ce point, c’est peut-être moins pour les qualités évidentes qu’ils y lisent, que pour cette raison fondamentale qu’elle est écrite avec la vivacité d’un surgissement qui, dans un meme élan, nous offre la vision de l’origine et nous la dérobe en nous la fournissant. Toute image, dans cette oeuvre, doit sa puissance au fait qu’elle se dénonce pour ce qu’elle est et voudrait ne pas être: la couverture d’un mouvement de découverte».


Michael Gibson commenta:


“His work is baroque, surreal, allegorical and even apocalyptic in the sense that is suggests a vision of the future that passes through destruction on its way to Utopia. There is an extreme proliferation and at the same time an immense space in many of these works. The artist himself holds the promise of an unusual conjunction of virtuosity and driving purpose”.


(cfr. Michael Gibson, Around the Galleries in London and Paris,

in «International Herald Tribune», Londra, 18- 19 dicembre).


1977


Milano, 17 febbraio.

Luigi Compagnone dedica al lavoro di sua moglie, Rosa Estadella, una piccola monografia edita da Vanni Scheiwiller All’insegna del pesce d’oro e precisa:

“Del tutto autonoma rispetto a quella del marito, un artista le cui straordinarie figurazioni microcosmiche si compongono entro paesaggi folgorati da un lirismo visionario e da un’angoscia apocalittica che si risolvono in un alto sentimento del tragico.”


Roma, febbraio, Centro Culturale Francese,

Le Regard et l’écriture.

Espone insieme a Yves Doaré, Luc Gerbier, Jacques Le Maréchal, Francis Mockel, Georges Rubel.

La mostra è presentata da Michel Random.



Dario Micacchi scrive  Il segno fantastico, in «l’Unità», Roma, 23 marzo 1977.


Parigi, marzo

Galerie Bijan Aalam,

Les Gravures Fantastiques Visionnaires de Paris.

Espone insieme a Jean Martin-Bontoux, Erik Desmazières, Yves Doaré, Jacques Houplain, Jacques Le Maréchal, Georges Rubel.


La mostra è presentata da Michel Random del quale, per l’occasione, la televisione francese trasmette L’art visionnaire, film doccumentario da lui scritto e realizzato e nella cui prima parte, signe et chemin de la vision, è inserita l’opera di Velly.



Palermo, marzo, Sellerio Editore,

Velly opera grafica dal 1964 al 1974.

Espone 32 acqueforti.


Su «Avvisatore» di Palermo leggiamo:


“Se c’è un angoscia insostenibile è quella della solitudine che c’è dentro ciascuno di noi; quella voragine interminabile popolata di mostri, di relitti umani e metallici nel sinergismo bieco di una agonia che è propria di un tempo che non ha confini palpabili, ma costruiti di segni surreali, fantastici, lucidi, di una proiezione che esula dal contingente, perché quello che sembra contingente è materia d’infinito, segno travalicante ed essenziale nella sua proiezione immaginifica. La dimensione di Velly (in questa sua personale che raccoglie i risultati e le proposte dell’opera grafica di dieci anni, 1964- 1974) conduce il discorso grafico sulla originalità creativa di questo prestigioso incisore che partecipa direttamente, en plein air, al processo creativo, costruito di nuove mitologie progressiste e di strane assoggettazioni antropomorfiche.

La sensibilità di Jean-Pierre Velly, stimolata anche da una natura soffocata, anelante una libertà ai confini con l’orrore, impregnata di un meccanismo sempre piu invadente, risuona echi lontani, di suoni intimi e purificatori, dove nel segno di una reinvenzione dell’uomo l’artista trova il proprio modus essendi”.

(cfr. In giro per le gallerie, Jean-Pierre Velly,

«Avvisatore», Palermo,16 marzo 1977).


Scrive Giuseppe Servello:


Non ingannino dunque certe forme esterne di Velly: sono strumenti, modi e mezzi per arrivare ad una proporzione personale. Dentro le mobili inquietudini delle linee si articola la consistenza viva e corposa di una figura, di un paesaggio. L’incisore non perde mai il senso solido del blocco, ma si direbbe che disegni col fiato, tanto nervosa e poetica appare l’idea voluta e infine raggiunta. Tutto ciò è ragionato con cartesiano processo di sintesi: e l’emozione è interamente lasciata all’occhio capace di afferrare alla prima il senso di una storia. Perché di storie si tratta, di indagini interne e segrete, di filigrane figurative. E una sorta di “mistero laico”, come diceva Cocteau a proposito della pittura metafisica di de Chirico. I personaggi diventano allora amuleti, idoli di una religione nella, logica della vita contemporanea. E le voragini, le metamorfosi, ititoli simbolici ed allusivi, sono affidati come si diceva più all’intuizione che al raziocino dello spettatore”.


(cfr. Giuseppe Servello, Il mistero laico di Velly, in «Giornale di Sicilia», Palermo, 25 marzo 1977).


Eduardo Rebulla:


“Reale e fantastico convivono nelle sue incisioni con una esuberanza sopraffacente sorretta da una inconsueta perizia tecnica e dal delirio lucido dell’invenzione, evitando tanto la ricerca affannosa dell’assurdo a oltranza quanto l’enigmaticità arruffona da eccesso di «simboli».

Migliaia di oggetti in una calca caotica e ipertrofica, che neppure li confonde, si inseriscono in un paesaggio naturalistico: dove sta l’inganno se nessuna frattura separa i primi dal secondo, se la simbiosi è perfetta dando al risultato un aspetto rassicurante e distaccato dentro cui convergono per colmo lezioni e riferimenti colti? Nessun velo: l’agibilità dell’immaginazione è dimostrata, basta decidersi a spostare l’angolo di osservazione abbandonando consuetudini vizze ed estetismi consumati (nel senso di quei «cadaveri mascherati» di cui parla A. Savinio). Anzi è forse un modo per sollevare il velo e guardare oltre la superficie delle cose.

Manca, è vero, a Velly, quel tanto di spregiudicatezza in più (come dire la capacità di andare a fondo) da consentirgli di spezzare le ultime remore ma il gioco è, evidentemente, teso, ed egli sa svolgerlo con discrezione e intelligenza, aggiungendo un’ironia intrappolata in pieghe sottili e una grafomania insistente (assimilabile all’horror vacui)”.


(cfr. Eduardo Rebulla, Fantasia «eversiva» di Jean-Pierre Velly,

in «L’Ora», Palermo, 15 marzo 1977).


Conclude Virgilio Guzzi, nel saggio pubblicato da «Documento Arte»:


Roma, 29 aprile. Nasce la figlia Catherine.


Brindisi, aprile-maggio, Circolo d’Arte Falento,

Jean-Pierre Velly.

Espone un scelta di incisioni degli ultimi anni.


Londra, ottobre, Aberbach Fine Art,

Etchings of Jean-Pierre Velly.

La selezione di opere grafiche copre gli ultimi 12 anni.

Unica mostra inglese.


Palermo, 20 dicembre.

Illustra la copertina di Torre di guardia di Alberto Savinio pubblicato da Sellerio Editore per le cure di Leonardo Sciascia e con un saggio di Salvatore Battaglia.

120 copie del volume, stampate su carta Bodonia della Cartiera Fedrigoni di Verona e numerate da 1 a 100 e da I a XX, contengono un esemplare dell’incisione Torre di guardia (Bodart 78) riprodotta in copertina.



1978


Roma, 11 gennaio-11 febbraio.

Studio S. Arte Contemporanea,

Un altro mondo.

Espone dieci incisioni.


Pescara, 21 -31 gennaio, Galleria Arte d’Oggi,

Lo sguardo e la scrittura.

La mostra accoglie gli incisori francesi Yves Doaré, Luc Gerbier, Jacques Le Marechal, Francis Mockel, Georges Rubel e Jean-Pierre Velly.

Espone: N’amassez pas les trésors, 1975, riprodotta nel catalogo con un testo di Michel Random : I viaggiatori dellombra e dello spazio.


Parigi, 30 gennaio.

Illustra, con Paysage-plante, acquaforte e bulino del 1971 (Bodart 66), la copertina del Catalogue général 1978 E. Despalles “établissements aux bonnes semences” che la mette a disposizione dei clienti.


Roma, 1 - 31 marzo Galleria Don Chisciotte,

Velly pour Corbière

Espone 24 disegni ispirati dalle poesie del poeta maledetto Tristan Corbière:


1. Amanecer, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 20x27;

2. Etoiles, 1976, matita, inchiostro e acquarello, cm 28x20,5;

3. Inconnue, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 44,5x31;

4. Reve, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 28x21,5;

5. Luce, 1978, matita, inchiostro e acquarello, cm 24x15;

6. Les immortelles III, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x30,5;

7. Notturno, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x31 ;

8. Rosée, 1976, matita, inchiostro e acquarello, cm 28x20,5;

9. Arbre, 1976, matita, inchiostro e acquarello, cm 41x31;

10. Mystère, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 28x21 ;

11. Le ciel et la mer I, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 48,5x42,5;

12. Le ciel et la mer II, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 29x2 1 ;

13. Passe, 1978, matita, inchiostro e acquarello, cm 44, 5x31 ;

14. Les immortelles II, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 28x21;

15. Arc presqu’en ciel, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x30;

16. L’un et l’autre, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 29x21,5;

17. Mancanza, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x31;

18. Le ciel et la mer III, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 49x28;

19. Rien, 1978, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x3 1 ;

20. Sphère, 1978, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x3 1 ;

21. Dissociation, 1977, matita, inchiostro e acquarello, cm 45x3 1 ;

22. Les immortelles I, 1976, matita, inchiostro e acquarello, cm 28x20,5;

23. Présence, 1977, matita, inchiostro e acquarello, c4 1x32.


Per l’occasione viene pubblicato, dalle Edizioni Don Chisciotte,

Velly pour Corbière, Rondels pour après.


Il volume-catalogo comprende tutti i disegni esposti, è stampato in 1000 esemplari, delle quali le prime 125 copie sono arricchite da un’incisione originale Rondels pour après, bulino, maniera a zucchero e acquatinta, Bodart 79, firmata dall’artista e numerata da 1 a 100 in numeri arabi, da I a XX in numeri romani, 5 esemplari fuori commercio distinti con le lettere A, B, C, D, F.


Le incisioni sono state tirate con i torchi a mano dalla stamperia «Corvo & Fiore» di Roma.


Il volume, oltre alle poesie di Corbière tradotto da Lucio Mariani, reca una presentazione di Leonardo Sciascia (leggere il testo)

Il testo è riportato, in parte, sull’invito all’inaugurazione della mostra.


Marie-Luise Sciò scrive su «International Daily News»:


“Stendhal and Corbière meet through the artful hands of Velly. The 19th century French writer Stendhal (actually a pseudonym for Marie-Henry Beyle), Breton’s poet of the same period, Corbière, and Velly are linked by heritage, love and philosophy.

All are Frenchman. All have been infatuated by the romantic italian skies. All are logicians and poets simultaneously. All have questioned life after death. All have observed man and nature and made precise psychological observations.

A punctilious technique won Velly the coveted Grand Prix de Rome, and it is to be seen in 24 watercolors which paint the poet Corbière «Rondels Pour Après». The six poems of the poet whose life ended at 30 in 1875 are dialogues of the self. Short, artistically fluid, but with a morbid base, there is a coupling of the heroic with the dramatic. Velly is akin in sprint, and picks up on Corbière’s conception of life after life.


… «I prefer watercolors to the technique of etching, I fell more free in my renderings» said Velly on the first day of the show «but any works retains my training as an etcher”.


This obvious in the composition of ecru in which he depicts the dead poet as booking into a coffin, it is executed in fine lines of a rainbow. The poet done in pencil lies over a series of figures who move out from a central line. In a rendering of a page from a child’s notebook, the soft image of a boy is reflected. An ink spot on the upper right of the page ofthe book is, as Velly said, «like a star that brings the poet to the rising star through a series of swirling ink blotched». He goes on: The observer’s eyes travels to the spot of pale red ink that is spilled on a portion of a notebook from an obviously older student, as the squares are smaller. Then, from there, ink spills softly in gray to bring you back to the poet. The draw drops that faintly frame the notepaper relate life to nature, and back».

In all of the 24 works, Velly shows his pinpoint clarity, and his ironist sentimentalist nature. An artist with exceptional ability; he has done an exquisite series.


(cfr. Marie-Luise Sciò, A french artist with acute eye and a master’s touch,

in «International Daily News», Roma, 5-6 marzo 1978).


Da. Mi. Dario Micacchi, Jean-Pierre Velly tra mare e cielo,

in «l’Unità», Roma, 21 marzo 1978.


Conclude Virgilio Guzzi:


“un Velly in quintessenza, fattosi se possibile ancor più sottile e poetico; addirittura testimone di un patimento dissanguato, d’una umanità che si consuma nel funereo come in un calcolo ermetico, matematico, che si dissolve nella effusione luminosa degli elementi, che si contrappone col suo spirito e corpo agli spazi dell’astrazione”.


(cfr. Virgilio Guzzi, Velly incisore visionario,  in «Il Tempo», Roma, 2 aprile).


Bari, 4-9 aprile, Expo Arte,

Fiera Internazionale di Arte Contemporanea.


Il catalogo riporta, col titolo Appunti su Velly, la presentazione di Leonardo Sciascia già apparsa nel volume Velly pour Corbière e le illustrazioni delle due incisioni esposte nella sezione francese, ma senza titolo né didascalia.

La partecipazione avviene con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia. In contemporanea, una selezione di incisioni e esposta alla Galleria Il Fante di Fiori che tiene aperta la mostra fino al 30 aprile.


Roma, marzo-aprile, Centro Culturale Francese,

La Vision et l’écriture.

Velly espone insieme ad Erik Desmazieres, Rosa Estadella, Jaques Houplain, François Lunven, M. Moreh.

La mostra e presentata da Michel Random.


1979


Brescia, 17 febbraio-31 marzo, Galleria Schreiber,

Jean-Pierre Velly.

Espone un gruppo di incisioni degli ultimi dieci anni.


Elvira Cassa Salvi scrive:


“Ed è tema manieristico infatti quello del la proliferazione degenerante, della fecondità corrotta, della metamorfosi decadente, della neoplasia. All’origine sta il senso sano, avvincente, del dilagare vitale: siano i cirri in cielo, le creste d’onda marina o lo sterminato intreccio del gran tappeto vegetale, alberi ed erbe, felci e cespugli, Velly dilaga con una sensibilità panica cui tien dentro, con straordinaria fluidità, il tessuto strepitoso e infinitesimale del segno.


… Ma nei fogli di Velly la generazione corrotta non sempre si lega alle immagini di questo realismo visionario, di questi angosciosi assemblages che incombono, assediano, minacciano la sopravvivenza delle ultime oasi di vita. Spesso il degenerare della vitalità, la corruzione dell’originaria fecondità, della potenza inarrestabile della procreazione prende forma di grandi ascensioni, che muovono dal corpo disfatto della donna, al modo di quegli immensi cortei d’angeli che nei secoli passati accompagnavano il glorioso trapasso di un santo, 0, in senso inverso, il precipitare d’un demonio. Ma in queste ascensioni di Velly non si vedono né angeli né demoni, ma piuttosto oggetti senza senso, corpi senza forma, orribili, tragici, trionfi del non-senso”.


(cfr. e.c.s. [F. Cassa Salvi] , Jean-Pierre Velly,

in «Giornale di Brescia», Brescia, 3 marzo 1979).


Padova, 12 maggio - 10 giugno,

Galleria d’arte Stevens,

Jean-Pierre Velly.

Espone un gruppo di incisioni degli ultimi anni.

Nel pieghevole che funge da catalogo, stralci da note critiche di Michel Random (1976), Leonardo Sciascia (1978), Vanni Scheiwiller (1978), Vito Apuleo (1978).


Torino, maggio, Art Club,

Jean-Pierre Velly

La mostra comprende incisioni degli ultimi anni.


Angelo Dragone scrive:


“Fin troppo facile, forse, vedere ora nell’uomo colto e nella potente suggestione del barocco romano, gli elementi che hanno sollecitato la fantasia, sino a fame un mistico moderno, preso tra immagini di morte e di resurrezione e i miti nevrotici del nostro tempo. Ma è capace anche di fissare in una lastrina minuta un trasognato Notturno e una Maternità dove l’immagine di luce che costruisce, lascia godere sino in fondo la bellezza del suo segno espressivo”.


(cfr. Angelo Dragone, La grafica visionaria di Velly,

«La Stampa», Torino, 29 maggio 1979) .


Pescara, settembre.


“Questarte” ospita un articolo di Nerio Tebano sul suo lavoro:


“Smaltita l’esigenza di attingere all’orto genesiaco della creazione, le incisioni di Velly risentono oggi di altri umori e di altri furori i castici, dove il fantastico sembra prevalere sul demoniaco, il segno grafico meno allucinante e graffiante, senza perdere niente della sua incisività e della sua pregnanza. Sarà stato il clima e il colore di Roma, sua nuova città di adozione, a stampare in lui quella virulenza di immagini, che nelle prime incisioni viste in Italia avevano trovato terreno fertile nella serie delle Metamorfosi, segnali d’allarme per la morte della natura, capati tra grovigli di rami secchi e di foglie morte; tra cimiteri di corpi umani e di oggetti di consumo, e nella stupenda incisione La strage degli innocenti che non sai se ricorda l’Apocalisse di secoli remoti oppure è il pregio di ciò che dovrà accadere in un futuro molto prossimo.


Certamente l’ambiente ed il paesaggio tutto intorno a Formello, a qualche chilometro da Roma, dove egli ora vive, avrà influito sul nuovo corso di cui qualche validissimo esempio è stato offerto nell’ultima sua personale alla Galleria Don Chisciotte di Roma. Una serie di recenti incisioni nella quale un nuovo spazio poetico-figurativo è avvertibile”.


(cfr. Teb (N. Tebano) , Velly a Roma, Incidere al la luce del sole, «Questarte», a. III, n. 8-9, Pescara, agosto-settembre, p. 11).


Molfetta, ottobre, Galleria L’Incontro,

Jean-Pierre Velly.

Espone venticinque opere, tra incisioni degli ultimi anni e disegni recenti.

 

si ringraziano Catherine Velly e il prof. Giuseppe Appella per la collaborazione


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