Velly   Banda sonora dell’ Art Visionnaire
 
 


Questa intervista fu registrata nel 1975 in occasione delle riprese del film “l’Art Visionnaire” di Michel Random per la televisione francese (girato in 16 mm a colori, alla cinepresa Fabrice Maze). Ecco la trascrizione completa del nastro di una cassetta audio.



M.R.            Jean-Pierre Velly, ha intitolato questa incisione, dove si vede una innumerevole folla di gente precipitarsi (dov’è?) la “Strage degli innocenti.” Perché ?


J.P.V.            Beh, è difficile da spiegare ... non lo so, vanno verso l’orizzonte... Strage degli innocenti perché ... non lo so ... c’è ne sono tanti ... devo ammettere che sono imbarazzato dalla domanda (ride)


M.R.            Ma, direbbe che questa innumerevole folla prefigura magari il futuro ?


J.P.V.            O no, non credo. Non pretendo fare futurologia, no... No, è sicuramente una cosa “vera” insomma! No, non il futuro... perché non il presente, o il passato ... Non c’è ... non il futuro.


M.R.           Ma l’uomo si confonde col paesaggio, si direbbe una polvere di essere, dove è tutto indistinto: la terra si confonde con gli uomini


J.P.V.            Sì, è forse la speranza della perdita dell’individualità, no ? che si è appiccicata sulle nostre spalle, no ? E che è pesante da indossare! Non lo so, ho l’impressione se volete che questa folla anonima... dove ogni uno corre, facendo un suo “passo avanti” ... ma per arrivare dove? Aldilà dell’orizzonte, tutto qua !


M.R.            Sì.


J.P.V.            Ma qui non si risolve niente, tutto sommato. Non è una “soluzione”, non ho la pretesa di spiegare il futuro, o di spiegare il passato... o il presente. Potrebbe essere benissimo il presente ... come lo vedo io.


M.R.             Ma sono colpito dal fatto che in alcune delle sue incisioni - che sono tutte molto minute, che dovrebbero essere viste con una lente d’ingrandimento - sviluppano temi ... cosmologici. È l’onda del mare, è l’onda delle cose ... Questa minuzia così acuta sembra esprimere l’onda che porta via ogni cosa. È l’uniformità, l’indeterminato...


J.P.V.            Sì, è così, sicuro... Finora, abbiamo creduto che l’uomo fosse al centro del creato - ora è difficile per me di fare discorsi filosofici - o pseudo filosofici... Cioè, pensavamo che l’uomo era il maestro dell’universo, no ? A questa cosa, io non ci credo, personalmente (ride). Dunque, che succede qui ? Sono insetti qui! ... Qui, non è l’uomo ... è l’uomo che è un insetto ! Non è facile ... (ride). Ma appunto, è questa perdita della personalità, affogata in quello che chiamo la “strage degli innocenti” ... è proprio l’uomo che si smarrisce, che perde la sua “pelle”, che perde la testa, che perde lo spirito, il suo “io”. E che dopo, appunto, ricupera tutto ciò in seguito... È È difficile spiegare, è solo comunque un’ipotesi della parte mia...


M.R.            Ma quando ha cominciato a fare non solo questa incisione, ma molte altre che esprimono lo stesso concetto ... È una forma di meditazione ... Perché ci passa due o tre mesi su quelle incisioni... Allora, in due o tre mesi, succede pure qualcosa, c’è una trasformazione, c’è un divenire, no ?


J.P.V.            Sì, ma non so se è legato appunto al divenire normale ... cioè alla nascita, alla vita e alla morte! Torniamo sempre lì, credo, no ? In questa per esempio (indica Enfin), sono gli oggetti che ... ci sono anche corpi talvolta, memorie, cose che avrebbero potuto essere, che sono e che saranno, e che poi si radunano in questa luce centrale, che si perdono nel tempo. Ma non è neanche fantascienza, è una sorte di uguaglianza, mettiamo la così, tra gli oggetti e l’uomo, no? Io la vedo un po’ così...


M.R.            Ma allora è l’uomo-oggetto? L’uomo che non si distingue più dalla materia, è l’uomo diventato materia ... È il brulichio infinito delle cose.


J.P.V.            O... lo spirito diventato materia! Ho fatto l’uomo qui, e non è che questa incisione sia particolarmente piacevole, nel senso che quando uno ritrae un corpo maschile o femminile, è sempre per  individuare, per focalizzare su una personalità o su ... e badate che non è che mi piace, perché sono uomo anch’io e non è per ... cioè questa deificazione dell’uomo, che supremazia dell’uomo sulla natura, sugli oggetti, sulle cose, mi rimane sullo stomaco. Perché lo trovo ingiusto. Sarebbe troppo facile, spuntare così e dire : “Siamo i più forti, abbiamo noi lo spirito che sorge, siamo ... la nostra civiltà è la più avanzata...”, no, no, in questa specie di natura, mi piace di scambiare l’uomo per l’ insetto. Non per diminuire l’uomo, ma per rivalutare l’insetto, perché no ? La pianta, il sasso (ride), così, no?


M.R.             Ma pero quello che è vivo, no ?


J.P.V.            Quello che è vivo ? Ma tutto è vivo, no? Il sasso come il resto, il sasso è vivo ... cioè non sono un mineralogista... ma insomma il sasso ha una vita molto più lunga della nostra, che si spande su secoli, su millenni... Evolve, ha una vita sua... Quando uno parla delle formiche: “ Guardate, sono formiche! Cioè insetti...” Ma d’altronde mi sembra che l’uomo tendenzialmente fa che ogni uno si sente al suo posto nella società. E passiamo accanto alle formiche, così, senza badare. Le scacciamo! Ma stanno bene, tutte, sono tutte contente, dalla regina alla guerriera, stanno tutte a posto.


M.R.            Ma uno capirebbe questa sua visione, non come un formicaio, diciamo, felice e equilibrata, ma come una visione quasi apocalittica. Non per pronunciare parole forti, ma questi uomini che si scontrano uno contro l’altro, correndo... è già ... cioè che non hanno un centimetro quadrato per vivere, che corrono da tutte le parti, è qualcosa di angosciante, no ? Uno riceve un’impressione d’angoscia guardando questa incisione fantastica ?


J.P.V.            Sì, c’è poco da ridere! Ma appunto, non trovo neanche che il modo che l’uomo ha scelto di organizzare la sua vita, la società, come la società consente l’uomo di organizzare la propria vita... non lo trovo divertente affatto. Invece, il formicaio, cioè, l’insetto mi sembra  molto più a posto, appunto... Non è che conosco bene l’argomento, ma Maeterlinck nel suo libro “La vita delle formiche” dice... appunto che sono tutte felici, tutte! Non è che vorrei poi parlare su altre società di animali o piante...Insomma...


M.R.           Ma comunque c’è una sorte di visione, direi, per la negativa: cose che si disfano, che si rovinano. Per esempio, nelle sue opere, ci sono molti rifiuti, molto inquinamento parallelo alla vita, tante cose che si giustappongono, aggrovigliano ...


J.P.V.            Sì, ma questo sarebbe piuttosto un’accettazione. Non credo che sia una critica della società di consumo o dell’inquinamento... no, è una cosa “normale”, no? Cioè, la vita e la morte sono presenti in ogni attimo della nostra vita, no? Così, mi sembra!

Cut


M.R.            (parlando di l’Ange et Linceul), E qui, Jean-Pierre Velly, ci troviamo davanti, in effetti, ad un'immagine di una donna addormentata, al di sopra di un’immensa vallata, dove sorge la luce del sol levante. Sembrerebbe un sogno di un paradiso terrestre che si trova qua all’orizzonte, no?


J.P.V.           Sì, il sole sorge o tramonta. Credo che non si sa... Sì, forse una vallata paradisiaca, c’è questa donna lì, che sonnecchia.


M.R.           È un meditativo addormentato.


J.P.V.           Sì, una sorte di cosa secondaria, anche qui, che avrebbe potuto essere, forse che c’è, o che potrebbe succedere... comunque rimane sempre al di fuori.


M.R.                C’è un paradiso perduto ? o un paradiso da ritrovare ?


J.P.V.           Non lo so. L’abbiamo tutti in testa quello, no? Ce lo sogniamo tutti! Questa donna, per me, è al di fuori. Insomma, non c’è integrazione tra quello che potrebbe essere e ...


M.R.            Ma uno potrebbe dire che è Lei che sogna, qui! Che è addormentata...


J.P.V.            Perché non ? O sveglia! Come l’ho voluto fare ...


M.R                    Certo, ma in quanto uno può viaggiare attraverso queste terre, e dove andiamo una volta che si parte ?


J.P.V.           Prima, forse, uno potrebbe incominciare appunto a partire dell’ombra, a seguire il cammino verso la luce, a scoprire i particolari, a vedere i boschi, le foreste ...


Cut


M.R.            Sì, Jean-Pierre Velly, dicevamo che questa incisione era come un viaggio verso una sorte di paradiso terrestre verso l’orizzonte. Siamo qui in un paesaggio scortecciato... ma forse il paesaggio richiama a qualcosa di diverso. Cosa c’è dietro l’orizzonte?


J.P.V.            Non mi sembra che il paesaggio sia scortecciato. Ci sono un sacco di foreste, c’è vita lì dentro, no? E poi ... dietro l’orizzonte, se è il sol levante, c’è il giorno che arriva (ride), e invece tramonta, arriva la notte.


M.R.            Non c’è una terra promessa da qualche parte ?


J.P.V.            No, non credo, è qui la terra promessa.


M.R.            La terra promessa, è quella che abbiamo sotto gli occhi?


J.P.V.          È quella che abbiamo sotto i piedi!


M.R.           È il tempo odierno ?


J.P.V.           Sì, sì, sì ...


M.R.             Ma quello che Lei esprime così minutamente, in fondo, cioè questo sguardo che porta sulla realtà delle cose - appariscente d’altronde perché non è la realtà bensì la sua realtà, vissuta e modificata da Lei - una realtà straordinariamente minuta, così acuta nei particolari che ne diventa effettivamente fantastica, se posso dire, e per non utilizzare la parola “visionaria”, cioè voglio dire che diventa surreale nel senso pieno della parola. Dunque, questo reale, per Lei, cos’è?


J.P.V.            Beh, questo reale, non mi sembra che, se volete, che non sia né fantastico, né visionario, perché delle vallate così, beh, ci sono delle molto più belle ... in natura si potrebbe dire. No, invece c’è una sorte di amore, di attaccamento al minimo albero, al più piccolo stelo d’erba, a quello che tocco, a quello che conosco, a quello che vedo, a quello che amo, o addirittura a quello che non amo! Tutto si mescola, no? Non è idealizzato... questa donna che è posta qua, è completamente distaccata dal paesaggio, no? A me sembra distaccata dal paesaggio. E forse quello che ha in testa, quello che vorrebbe, quello che ha, quello che non ha, quello che non avrà mai, cioè, non lo so... non lo posso dire, non posso rispondere... Dentro me stesso, mi rimane ignoto. Cerco attraverso il linguaggio dell’incisione a dare ... cioè è un tentativo di dialogo. A prescindere, non saprei affatto che lezione trarne...


M.R.             Ma uno può scavare con lo sguardo, cioè, uno può acutamente guardare talmente le cose che, alla fine, rischia di passare oltre le apparenze ?


J.P.V.            Sì, credo che sia possibile, anche questo... Tutto è possibile.  Oltrepassare le apparenze ? In qualsiasi modo, credo che uno oltrepassa sempre le apparenze. Quando uno vede un viso, uno se lo vede con i propri occhi. Le apparenze sono diverse, e per me come lo sono per Lei.


M.R.            Ma ammettiamo che se il mondo è uno specchio, uno guardando acutamente, potrebbe attraversare lo specchio...


J.P.V.           Be...


M.R.            È un po’ il passo che fa, la precisione con quale osserva le cose, è già il passaggio attraverso lo specchio.


J.P.V.            Sì, perlomeno volerlo! Cioè è un tentativo, non so se è quello giusto...


M.R.            Forse non si è mai posta la domanda così, in questo modo. Pero alla fine è ben quello che significa la sua opera, in un certo senso?


J.P.V.           Ma, purtroppo non so se è la maniera giusta! E non si sa mai niente, credo. Ma diciamo che semmai scelgo questo modo di espressione, diciamo, minuto, è perché quando vado a spasso in campagna o in città, mi fermo davanti a qualsiasi piccolo pezzettino di cose. Perché la vita c’è in un centimetro quadrato, cioè la puoi vedere in un centimetro quadrato, come su un chilometro quadrato ... che ...


M.R.            Come nell’universo.


J.P.V.           Come nell’universo, esatto. Ed è per me, dico bene, per me solo - cioè non voglio assolutamente farne una teoria generale - ad ogni uno il suo metodo...


M.R.             Certo, ma qui siamo parlando di Lei. Questo approccio che ha, cioè che va dal infinitamente piccolo al infinitamente grande...


J.P.V.            Ma è la stessa cosa, credo, no? Così mi pare ...


M.R.           È anche una visione cosmica delle cose, no?


J.P.V.            Magari! Non è che ... non voglio nascondermi dietro paraventi, speculando sul futuro ancora una volta... Ma mi sembra che posso riuscirci così ... cioè questo è la speranza, è sempre così... Dovrei riuscire così a mostrare, mostrare quello che sento dentro, perlomeno... per me. Per l’incisione, è il “piccolo albero”, è tutto questo brulico...


Cut


M.R.          Jean-Pierre Velly, ho come l’impressione che ogni una delle sue opere, come credo l’abbia detto forse, è una sorte di alchimia. E una sorte di alchimia nel senso che c’è un progresso molto lento. Quanto tempo impiega per ultimare una lastra?


J.P.V.            Beh, dipende del formato ... e poi penso che sia un argomento ...


M.R.            ...secondario ...


J.P.V.            Secondario, molto secondario...


M.R.            Ma, ciononostante, va da due a quattro mesi, no?


J.P.V.            Sì, ma talvolta anche meno ... anche meno ...


M.R.            Dunque, questo modo di andare piano, cioè in fondo centimetro dopo centimetro, è un modo per descrivere una micro-realtà che deve rimanere coerente con se stessa, no? Che ...


J.P.V.           Certo. È forse anche un tentativo di fermare un immagine nel tempo. Per esempio, per questa incisione che si chiama “Plantes”... è incisa qui al tavolo, cioè senza avere sotto gli occhi la natura “vera”. Ogni pianta è ricomposta mentalmente e posta secondo un ordine che mi sembra proficua al progetto iniziale. Ci sono le felci ...Provo a sistemarle a secondo un ordine, che non si vuole specificatamente estetico... cioè per ottenere questa sorte di uguaglianza, ancora una volta, nella gerarchia delle piante. Perché ci sono piante che sono “belle”... cioè c’è sempre un razzismo, anche nelle piante: alcune meritano di essere messe sul bordo della finestra, ed altre, come il gramigna ... Qui invece, sono tutte uguali, non c’è gerarchia... sono sistemate in disordine ... per un occhio umano. Non c’è una preferenza accordata all’una invece dell’altra. Nello stesso modo, nella “Strage degli innocenti”, non c’è preferenza accordata...


M.R.            In effetti, credo che questa totalità di cui parlavamo prima è presente nelle piante, è presente anche in questo mare fantastico. Voglio dire che siccome l’onda e il cielo fossero la stessa cosa... Confessa che l’unicità delle cose è sempre presente in quello che fa.


J.P.V.            Questo è sicuro! Sì, il mare e il cielo, sì, sì, difatti, veda come si raggiungono all’orizzonte, con lo stesso segno grafico. Infine, sono poi la stessa cosa: fanno parte di un insieme...


M.R.            Non c’è inizio, non c’è fine ...


J.P.V.            Non c’è inizio, non c’è fine ... non c’è il meglio, non c’è il peggio ... ma davvero credo che sia questa la chiave.


M.R.            Insomma, questo modo di vedere, per Lei, è distensivo. Non è un’opera straziante la sua ? È abbastanza serena, no?


J.P.V.           Sì,sì, è distensiva nella misura che comporta lo stesso impegno, la stessa qualità in qualsiasi parte degli elementi. Non è molto ... divertente, diciamo, perché poi non ho raggiunto lo stadio ultimo della saggezza (ride)... e ho paura, come ognuno, della perdita del “io”, che mi consente di essere conscio. Cioè che questa perdita della coscienza ... ed è la paura della morte.


M.R.            Ma non creda che è comunque il fascino di buttarsi in qualcosa dove non ci sarebbe più nessun timore?


J.P.V.            Cosa? La morte ?


M.R.            L’idea di sganciarsi, di tutte le paure...


J.P.V.            Non, non credo ... Magari, in futuro, forse...non lo so. Con un po’ di più di esperienza, uno ammette certe cose. D’altronde, non capisco perché non avrò più un giorno queste piante, non avrò più questo mare, non avrò più questo cielo... Allora forse, proseguendo con questo lavoro, avrò ... cioè dal mio lavoro nascerà l’accettazione di questa cosa - non facilmente ma ... Forse accetterò allora l’idea della morte come un dono da ricevere e come un ritorno alle origini. Ma purtroppo non ci sono ancora, intimamente.


M.R.            La morte, cos’è? E angosciante, affascinante, temibile?


J.P.V.            Be, è tutto ciò che ha detto, la morte! Esiste ai nostri occhi, forse non esiste affatto. Io tratto questi argomenti perché ... non in una maniera confortante per me... Mi sembra che più vado avanti, diciamo, più è come nelle mie incisioni! E come il cielo che si confonde con il mare. Ovviamente, niente si perde, è un fatto ben conosciuto, non è ... Ma c’è l’accettazione, e tra il sapere e l'accettazione - e dico bene “sapere”, una conoscenza intima, non letteraria o culturale, una conoscenza profonda di cose vissute, per modo di dire. E credo che ne siano due: tra dire “Sì, d’accordo, è così” e dire “e va bene che sia così” ... è difficile... anche perché uno ha l’impressione che dopo ci sia qualcosa... Forse non c’è niente, no lo so. E se non c’è niente,va bene! Ci siamo tutti quanti insieme, no? Nel brodo !!!


M.R.           Sì, è vero ...

Cut


M.R.            Jean-Pierre Velly, sono affascinato dal tema della morte, che non è proprio suo nel senso creativo, ma che è oggi il tema predominante nella produzione artistica dei suoi colleghi incisori. Forse non c’è ne neanche uno che non l’abbia trattata come un’ossessione. Come lo percepisce, globalmente? Perché il tema della morte può così spesso comparire nelle opere odierne?


J.P.V.            È difficile spiegarlo. Poi non credo che sia specificamente solo nelle opere contemporanee. Credo invece che è stato il problema principale, primordiale attraverso la storia. Ora si può dire - e soprattutto perché non si tratta più della sorte di un individuo ma la scomparsa della ... collettività ... della civiltà. Ovviamente il problema diventa molto più grave. Cioè diventa più grave perché, credo, che tra la mia piccola morte, tranquilla o drammatica e la scomparsa, tranquilla o drammatica insomma di tutta la civiltà sulla Terra, di tutta l’umanità, son ben due cose... la prima cosa è un incidente che potrebbe succedere qualsiasi giorno, l’altro prenderebbe un anno o due ...


M.R.           Ma ora, è un orizzonte senza speranza? che viene offuscato insomma, no?


J.P.V.           Qui è difficile per me rispondere, perché come le ho appena detto, ho paura della morte, anche se provo a esserci al di sopra di essa... Comunque non sarebbe catastrofico; cioè per il formicaio essere schiacciato o bruciato è una catastrofe. Ma la specie delle formiche sopravvive ... dunque non del tuo catastrofico. E poi, sinceramente, sono convinto veramente che l’uomo non è, come si era sempre creduto, al centro del creato, il summum ... niente affatto, di questo son sicuro... e se fosse così? Bene! E se non fosse così? Bene lo stesso ! Cioè è troppo facile dire: “siamo i più forti!, Siamo i più...” Mi pare molto infantile, no?


Cut


M.R.            Jean-Pierre Velly, ho come l’impressione che, tra le altre cose nella sua opera, che c’è sempre un punto limite, un punto solare. E anche una diagonale, un buco nelle cose, un vortice o come un punto affascinante, verso il quale tutte le cose vanno o sanno aspirate. Che vuol pire questo punto, questa tensione ?


J.P.V.          E la fine, è l’inizio, è ....


Cut


M.R.            Sì, Jean-Pierre Velly, questa fine, questo inizio? Dove andiamo ?


J.P.V.           No lo so ! Non lo so ! Si torna ... forse ... all’elemento, al mare! Non lo so, uno si annega sicuramente nell’ignoto quando uno muore! No? All’ultimo respiro, uno affoga nell’ignoto. Allora questo buco di luce, o d’ombra, ancora una volta... Così a me sembra... di luce o di ombra... Va bene, o non va bene, in tutti casi, infine, va bene! Allora, un giorno posso vedere un buco luminoso, e un altro giorno ... Subisco anch’io quando lavoro tutte le aggressioni quotidiani della radio, della televisione, dei giornali, delle notizie che mi pervengono e che mi disturbano, è ovvio...


M.R.           Ma cos’è questo buco ? È il vuoto? Ma questo vuoto è riempito di qualcosa ? O il vuoto è il nulla ?


J.P.V.            No, non è il nulla, non credo proprio. Non mi sembra... Niente, il nulla? No, assolutamente, no.


M.R.            Ma quando c’è questa tensione, la diagonale, questa altura delle cose ? Tutto ciò sembra provenire da fondi molto, molto vecchi, molto remoti. È come se tutto diventasse la stessa forma, la stessa materia. Ma come si tutta questa materia fosse orientata, tesa, spinta da qualche parte...


J.P.V.            Sì,sì, sì... In effetti, me ne sono reso conto anche... nelle mie incisioni! (ride) Lo pure notato nelle mie incisioni. Credo che vada così: un pezzo di carta, un pezzo di cartone... un insetto, un uomo, un essere ...


M.R.           ... è sempre materia...


J.P.V.           … Sì ...


M.R.            Ma contemporaneamente, è orientato, va in qualche direzione ...


J.P.V.           Ah, sicuro, questo no lo so! Ma sicuramente, a vedere quello che succede attorno, è orientato ...


M.R.          È aspirato !


J.P.V.            È aspirato, ecco! È aspirato! Uno si arrampica, si arrampica e poi, ogni tanto, la scala si rompe, possiamo tutti romperci le ossa, tutti quanti insieme! In ogni caso, non è grave! Deve comunque ricominciare.. in sei milioni di anni ... o cinque milioni di anni.

Quello che voglio dire è che il tempo non è molto importante. Alla fine della giornata, uno rammenta, uno trae il bilancio: “buona giornata, cattiva giornata”; alla fine di una vita, si critica, si giudica, si condanna: è così facile! Di giudicare, di condannare, di dire: “Ecco, va bene, o non va bene.”  Io non ci credo più di tanto. Perché non può esserci il bene se non c’è anche il male... Si parla per l’ennesima volta di questa scala dell’uomo superiore. Ma perché? In virtù di che? Perché l’uomo crede di poter radunare tutta la ragione a se stesso? Gli altri? Non ha chiesto al cane, al bue, alle rondini? Ma non si conosce il linguaggio... Stiamo indagando ora a riguardo...Si capirà forse un giorno...



M.R :            Chi sono stati i suoi maestri ? Riconosce un particolare maestro che ha influenza il suo lavoro ?


J.P.V.            Ebbene, ne ho molti, ci sono molti ... dei maestri! Ebbene i maestri sono quelli che ho amato e che amo tuttora ... Duvet ... Bellange... Le sparo così dei nomi ... ci sono molti ... una marea ... c’è Bresdin ...


M.R.            Sì, Bresdin ...


J.P.V.            Le parlerò di quelli a me più vicini, diciamo, quelli che sento maggiormente. Appunto a causa di questa promiscuità ... della materia e dello spirito ... di questo degrado dei esseri e poi di questo ricupero delle potenze diciamo... sì. Duvet ... Sì, non lo so, ci sono molti... cioè sono praticamente tutti stati i miei maestri, quasi tutti! Tutti coloro me furono i miei predecessori ... coloro che hanno portato qualcosa - di quello che ho potuto vedere - che hanno ben recitato “la loro canzonetta, la loro opera, e operetta!” come dice un amico mio...


M.R.         (ridono)    Ma uno come Monsù Desiderio oppure ... diciamo Mantegna, in un altro genere ... o ancora  John Martin...


J.P.V.            Sì, sì.. c’è ne uno che ha un senso proprio teatrale della vita ... è John Martin. Guarda, vede tutto quanto, vede un’apocalisse, ma direi che è un’apocalisse tranquilla. Forse mi azzardo un po’, pero è un’apocalisse quasi ... calcolata. Cioè una istantanea d’apocalisse, come una cartolina da viaggio in ferie. E ci portiamo dietro una bella foto del Mediterraneo, addirittura ...  Non credo che sia molto vissuta, sentita..


M.R.        Senza dubbio preferisce forse il Goya della Quinta del Sordo, o anche il Turner dell’epoca delle luci.


J.P.V.            Sì, trovo che (soffia) ... Cioè è ovvio... l’apocalisse, ci sono state sicuramente almeno due cento mila, c’è ne saranno ancora trecento mila... l’apocalisse, è nello spirito dell’uomo, nel... L’apocalisse, è esattamente l’ultimo momento.. forse ...no? quando si chiudono gli occhi (ride).


M.R.           Era dunque forse così per Goya in fondo ...


J.P.V.           Sì, credo di sì...


M.R.         ... o per Turner ...


J.P.V.            Io lo sento molto di più...


M.R.         ... come vero ?


J.P.V.            Sì! confronto a Martin, sì. Per esempio, ecco, si potrebbe che John Martin - anche qui do un giudizio .. dicendo così, sembra quasi una condanna di Martin... che non è affatto! Diciamo che preferisco Goya, mi sento più vicino a Goya...


M.R.            Cioè, quando parliamo del Goya del Quinta del Sordo, parliamo di quel Goya, dell’uomo che, tutto di un tratto, diciamo che ha una esperienza fondamentale, cioè uno choc, una rottura, cioè è spezzato...


J.P.V.            Sì ...


M.R.            Si è staccato ...


J.P.V.           Sì ...


M.R.          Cioè si è spinto in quarta, è un altro uomo insomma, lascia finalmente parlare le cose ...


J.P.V.           Aggiungiamo “Senza cliché” (luogo comune)! Mi sembra che Martin appunto nel suo Diluvio credo che si dice: “Ecco, mettiamo un’onda qua a destra e a sinistra ... una piccola zattera in mezzo...” e ci presenta una cosa costruita mentalmente. C’è sicuramente anche qui un messaggio, profondo e intimo, ma che personalmente non ricevo. Invece che per il Goya, basta guardare... una cosa, un viso anche... e qui uno riceve appunto questo dramma, che secondo me è un’ invocazione all’aiuto : “Attento, attento ... è proprio così! Non è divertente!” Cioè nel caso di Goya ! Poi, bene, con Duvet, cioè è tutto diverso, è molto più tranquillo. Tratta la sua apocalisse, mi sembra, un po’ da illustratore, con l’ottica in vista all’epoca sua, con i simboli dell’epoca... Ma non c’è il passaggio dei secoli come con Goya. Guardando un Goya, si dice sempre che è contemporaneo.. sì, dicono sempre: “E un contemporaneo” perché? Perché il messaggio è profondo, e che è attaccato e inerente all’uomo, all’essere. In fondo, l’uomo in duecento anni, in trecento anni non è cambiato. Ha le stesse angosce, le stesse aspirazioni, cioè le stesse ... Quando uno riesce a porre le dita all’interno di se, bene! Cioè può dirmi: “Ma a che serve ?” Ovviamente, serve a lottare un po’ contro la solitudine, di sapere che  “è proprio così!”



M.R.            È anche l’esperienza di Turner quando scopre la luce, il suo fascino della luce del secondo periodo...


J.P.V.           Questo no ne so niente, non vorrei parlarne...


M.R.           Bresdin, nello stesso periodo è la stessa esperienza, si ricordi?  L’esperienza della foresta, l’idea della foresta...


J.P.V.            L’idea della foresta, sì... la sua foresta. Si potrebbe prendere i suoi paesaggi, le sue case, cioè in assolutamente tutte le sue tavole gli elementi sono intrecciati l’uno con l’altro. E ciò crea un insieme alla fine. C’è tutto un cosmo anche qua. Se vedete una cosa in Bresdin, cioè vedete una nuvola: bene, poi l’isolate. Bene, è dunque una nuvola. Vedete poi l’insieme, vedete il segno, ma isolando quella nuvoletta, potrebbe essere una cosa qualsiasi. Potrebbe essere un’onda, potrebbe essere una tegola del tetto... Ci sono molti visi ... e questa mescolanza ... è proprio quello che mi affascina appunto in Bresdin.

È quello che mi affascina in Duvet, è questa mescolanza degli elementi, dove ognuno elemento perde la sua individualità. In Duvet, se non volete vedere un viso, non lo vedete. E in Bresdin, avviene la stessa cosa. Cioè è un albero perché avete imparato da piccolo che un albero ha tre o quattro rami. Pero se guardate da vicino, è un albero, ma è anche un erba, un viso, ecc. Cioè credo di non esagerare e vedere cose dove non ci siano ...


M.R.            È anche la stessa cosa in Le Maréchal.


J.P.V.            Le Maréchal, sì, è molto, molto spiccato...


M.R.            Sottolinea questo fatto poi con frasi …


J.P.V.            …sì, con delle frasi …


M.R.             ... poesie...


J.V.P.          Non so da dove viene …Lui è così...


M.R.            È la visione del Tutto.


J.P.V.                    …del  Tutto. Sì. È Tutto. Ora mi sembra che…… C’è una testa, tra le altre cose, dove ci sono stelle, segni del zodiaco, che si concentrano in une testa umana. Dunque, è sempre questa relazione che si cerca tra l’uomo e  la natura, l’uomo e i pianeti, e l’infinito…tra l’uomo e l’infinito. E l’infinito, che c’è ? Cos’è ? Cos’è… l’infinito ?


M.R.            Infinito, infinito…


J.P.V.            Infinito, infinito…senza fine, per sempre.


M.R.            Grazie.

 

Questa intervista fu registrata nel 1975 all’occasione  delle riprese di « l’Art Visionnaire », un film per la televisone francese di Michel Random (alla cinepresa Fabrice Maze). Ecco dunque la trascrizione completa del nastro.


(traduzione Pierre Higonnet, nov 2008)

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